Titolo originale: La notte
Regia: Michelangelo Antonioni
Sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Ennio Flaiano, Tonino Guerra
Cast: Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau, Monica Vitti, Bernhard Wicki
Musiche: Giorgio Gaslini
Produzione: Italia 1961
Genere: Drammatico
Durata: 122 minuti
Orso d’Oro a Michelangelo Antonioni
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Trama
Giovanni Pontano (Marcello Mastroianni) è uno scrittore di successo che, accompagnato dalla moglie Lidia (Jeanne Moreau), si reca a trovare in ospedale l’amico Tommaso Garani (Bernhard Wicki), gravemente malato, con fare asettico e apparentemente privo di qualunque trasporto emotivo.
Nell’arco di un’intera giornata, questa coppia in crisi dovrà affrontare molteplici prove per risolvere i suoi gravi problemi, forse ormai divenuti irreversibili.
Recensione
“Il tempo presente è antifilosofico e vile; non ha il coraggio di decidere che cosa ha valore e che cosa non ne ha, e democrazia, per dirlo con la massima concisione, significa: “Fai quello che accade!” – L’uomo senza qualità (Der Mann ohne Eigenschaften, 1943)
E’ nella maestosa opera incompiuta di Robert Musil che potremmo scovare, grazie a queste semplici e lapidarie parole, il senso ultimo di qualche ora spesa nei salotti della Milano borghese anni ’60. Lo stesso Michelangelo Antonioni, non a caso, sceglie di utilizzare – in un momento molto specifico della sua pellicola – questo medesimo passaggio letterario come espediente narrativo. Lascia, questa volta, che quelle stesse parole vengano pronunciate da un borghesuccio qualunque e compiaciuto, fino a perdere quasi di valore.
Vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino, del Nastro d’argento e del David di Donatello, La notte non è solamente il ponte di congiunzione tra L’Avventura e L’eclisse – facenti parte della cosiddetta Trilogia dell’incomunicabilità – ma un tassello fondamentale della cinematografia italiana all’indomani de La Dolce Vita (1060) di Federico Fellini.
Nell’arco di 24 ore, dalla mattina all’alba di un nuovo giorno, Antonioni racconta il decadimento strutturale dei presunti valori della società borghese di quegli anni – fatti di sesso, denaro e potere – attraverso le parole, i silenzi, le azioni e gli sguardi di una coppia in crisi e ormai persa nel labirinto del proprio cinismo.
Sebbene le azioni e le reazioni al dramma sembrano fornirci una prima fondamentale descrizione del profilo dei due coniugi (lui brinda insieme all’amico per esorcizzare la morte, prima di farsi trascinare in un’altra stanza da una giovane ninfomane; lei, incapace di sopprimere il senso di disperazione, esce quanto prima fuori dalla clinica), è nell’eleganza del reciproco evitarsi che comincia a farsi spazio il profondo senso di vuoto come unico collante rimasto per la coppia.
Giovanni partecipa, successivamente, alla presentazione del suo ultimo libro immerso nella grigia e ostentata intellighentia della borghesia milanese, mentre Lidia si allontana nuovamente, finendo col bighellonare fino alla periferia della città nel tentativo (forse) di coglierne le molteplici sfumature sensoriali.
Ma è solo quando scende (appunto) “la notte” che la noia e il disagio cominciano a farsi strada, e quindi occorre porvi rimedio al più presto. Dapprima, la coppia si reca in un night club, dove a rimanere sospesi sono il “pensiero inespresso” di lei e l’appunto intellettuale alla fine dello show erotico-acrobatico «la vita sarebbe sopportabile se non ci fossero i piaceri» di lui.
Successivamente, la scena si sposta presso la villa dell’industriale Gherardini, in Brianza, al passo di un’umanità decisa a lasciarsi andare alle frivolezze e alle dissonanze jazz (ormai diventata la “musica dei ricchi”).
Qui Lidia, sempre più preda del proprio disagio esistenziale, decide di spingere il marito fra le braccia della giovane Valentina (Monica Vitti), e in maniera quasi distaccata tenta di fare altrettanto con uno sconosciuto (ma senza cedere del tutto alle avances di quest’ultimo).
Fra la pioggia come piacevole fuori programma, il blackout all’interno dell’abitazione, le chiacchiere imbevute di whiskey e champagne, Giovanni subisce il fascino apparentemente cinico della ragazza (nonché figlia del padrone di casa) al punto da credere che l’unica soluzione rimasta alla sua crisi matrimoniale sia iniziare una nuova storia.
Valentina è saggia nella situazione creatasi, sveglia senza il bisogno di sentirsi intelligente (come lei stessa ammette), e riesce a restituire ai due – anche con il favore dell’alba del nuovo giorno – tutto il corollario di certezze dal quale sembravano a tratti voler rifuggire.
Giovanni e Lidia lasciano la villa e, di fronte a un paesaggio vasto e quasi desolante, suggellano l’abisso insondabile nel quale sono precipitati attraverso la lettera da lui scritta alla moglie anni prima, e della quale non aveva neppure più memoria.
L’amore sembra scivolato via del tutto dalle loro vite, senza quasi la possibilità di accorgersene, e a nulla vale il disperato tentativo finale da parte di Giovanni di riaccendere un “fuoco di passione” ormai sopito.
Nessun simbolismo o metafora di sorta. Michelangelo Antonioni è maestro sapiente nell’arte dei vuoti silenzi, che pesano tanto quanto le frasi pungenti dei vari interpreti della sua pellicola. Il grigiore (quello ben oltre i “colori” già inaugurati nei primi anni ‘50) di quella “dolce vita” illusoria, si traduce addosso ai protagonisti in uno strato di polvere impossibile da scrollare via del tutto.
Come un effetto collaterale del boom economico, è la miseria dei sentimenti umani a farne le spese in questa seconda vita del Neorealismo italiano, e “alla fine della notte” solo una certezza sembra riecheggiare fra le pareti della nostra, virtuale, sala cinematografica:
«Tutte le volte che cercavo di comunicare con qualcuno, l’amore andava via» (Valentina/ Monica Vitti).
CINEFOCUS
Antonioni e la Trilogia dell’incomunicabilità
Curiosità
Stanley Kubrick dichiarò in tempi non sospetti che La Notte era uno dei suoi film preferiti.