Tra le tante scene che compongono il grandioso Ben-Hur (1959) di William Wyler, una in particolare riveste un alto significato religioso.
Ben-Hur è stato incolpato da Messala dell’attentato al governatore e destinato alle galee. La scena si apre con l’inquadratura dell’interno di una casa, dove un falegname cessa il suo lavoro al sopraggiungere degli schiavi incatenati l’uno all’altro, che si possono scorgere dalla piccola finestra. Wyler ci mostra degli uomini affaticati e piegati dalla sete, provati dalla lunga marcia e dal caldo opprimente. I soldati a cavallo ordinano che prima vengano abbeverati i loro destieri.
Un incontro salvifico
Tutti si dissetano, ma a Ben-Hur non è permesso ed egli, in preda allo sconforto, si accascia a terra senza forza, pregando Dio di aiutarlo. In quel preciso istante entra nell’inquadratura il falegname, che intuiamo essere Gesù, il quale con grazia ed estrema dolcezza si china a rinfrescare la testa di Ben-Hur con dell’acqua. Judah alza più volte lo sguardo verso il viso di Cristo, ringraziando senza parole il suo Salvatore.
Nel mentre una guardia si accorge del fatto e intima a Gesù di smettere, ignorato. Il soldato si avvicina minaccioso con la frusta ma Gesù, alzandosi in piedi, volge lo sguardo al centurione, che rimane attonito. Wyler non fa mai vedere il viso del Figlio di Dio, è lo spettatore che immagina i tratti e indaga nelle reazioni di Ben-Hur e del soldato. Judah finisce di dissetarsi e sul suo volto torna il sorriso, quello della speranza.
Prima di rialzarsi tocca la mano di Colui che lo ha aiutato in segno di riconoscenza, prima di rimettersi in marcia con gli altri compagni.