Nel 1973 Federico Fellini dirige un’autentica pietra miliare della storia del cinema italiano, quell’Amarcord autobiografico e nostalgico che deve il suo successo alle innumerevoli scene memorabili presenti nell’arco della narrazione.
Una di queste, convenzionalmente intitolata Pranzo in famiglia, merita un commento speciale. La sequenza si svolge a casa del protagonista Titta, goliardico adolescente di Rimini, durante il pranzo consumato insieme ai genitori, al nonno e allo zio.
I commensali a tavola
Ciascuno dei commensali viene dettagliatamente caratterizzato da Fellini a livello quasi teatrale, a sottolinearne le peculiarità.
Il capofamiglia Aurelio (un bravissimo Armando Brancia) è un integerrimo lavoratore burbero e soprattutto antifascista (il film è ambientato negli anni ’30), che mira a educare i figli con disciplina e obbedienza pretesa.
La moglie Miranda (una simpaticissima Pupella Maggio), perfetta donna di casa, assomiglia più a una popolana con saldi valori ma meno inflessibile del marito. Titta e il fratello sembrano apparentemente i più “normali” della famiglia, ragazzi scherzosi e pronti a divorare le portate che vengono loro servite.
Lo zio Pataca si presenta alla tavola con una retina in testa, lo sguardo assonnato e la vestaglia, a denotare la sua natura pigra e sorniona. Infine il nonno, anziano dongiovanni rispettoso delle tradizioni e saggio mentore, fissato con le belle forme delle donne (a più riprese si permette di palpare il fondoschiena alla domestica).
In questa scena ne succedono di tutti i colori, a partire dalla perla di saggezza del nonno, che si rivolge a Titta menzionando il babbo conosciuto come il “Carnazza”, 107 anni e un fervore sessuale ancora invidiabile. Il gesto inequivocabile del pugno a movimento ritmato persiste fino al richiamo di Aurelio, che lo invita a proseguire nel discorso senza creare ulteriore imbarazzo.
Il secondo episodio che si prospetta esilarante riguarda la scaramuccia verbale fra Aurelio e Miranda, la quale dimostra rancore nei confronti del marito non toccando cibo. L’uomo dà sfogo alla propria esasperazione sotto lo sguardo divertito dei figli. A un certo punto Aurelio è costretto ad alzarsi da tavola per recarsi alla porta, dove lo attende l’ingegner Biondi.
La furia del padre: un rocambolesco inseguimento
Tornato al suo posto, il genitore chiede con toni pacati al figlio Titta cosa abbia fatto la sera prima. Dopo una candida risposta del ragazzo, si assiste a un rocambolesco inseguimento a causa di una marachella commessa da Titta, costretto a sfuggire alla buffa furia del padre.
La scena in sè e per sè focalizza l’attenziona sulle abitudini e i dialoghi di una famiglia emiliana poco convenzionale, e da essa si evince la passione e il coinvolgimento di Fellini nel produrre il film.
Amarcord colpisce per la sua veridicità e i suoi molteplici significati, comunicati allo spettatore attraverso una veste comica che sa riflettere e ricordare un periodo controverso ma a suo modo bello e autentico della storia italiana.