Titolo originale: Hillbilly Elegy
Regia: Ron Howard
Sceneggiatura: Vanessa Taylor
Cast: Amy Adams, Glenn Close, Gabriel Basso, Haley Bennett
Musiche: Hans Zimmer
Produzione: USA 2020
Genere: Biografico
Durata: 116 minuti
Regia:
Interpretazione:
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Musica:
Giudizio:
Trama
J.D. Vance è solo un adolescente ma dal grande senso di responsabilità, qualcosa che sembra non appartenere a sua madre Bev (Amy Adams), donna complessata, perennemente infelice e dagli incontrollati scatti d’ira capaci di renderla piuttosto violenta. J.D. ha il supporto di sua sorella Lindsay (Haley Bennett) e, soprattutto, dell’energica nonna (Glenn Close), la quale tenta in tutti i modi di tenere unita la famiglia preservandone un’incolumità già severamente provata.
Alcuni anni dopo, J.D. (Gabriel Basso) è ancora alle prese con una situazione delicata e una madre divenuta tossicodipendente ma fortemente restia al ricovero in una clinica di riabilitazione. Il ragazzo se ne prende cura perseguendo nel frattempo un obiettivo ambizioso che gli permetterebbe finalmente il salto di qualità: entrare a far parte di un prestigioso studio legale a Washington.
Recensione
Hillbilly Elegy, romanzo autobiografico di J.D. Vance, doveva necessariamente pretendere una trasposizione autoriale, fedele e sensibile alle tematiche trattate. L’adattamento è arrivato grazie all’impegno di un Ron Howard in buona forma, spinto alla regia dai colossi Imagine Entertainment e Netflix.
Elegia americana asseconda il proprio autentico carattere di confessione ch’è in parallela istanza uno sfogo, uno spaccato familiare il cui senso si ricerca nel labile rapporto fra la società e il microclima della middle class borderline. La vera battaglia, però, è intestina e si gioca sul filo rosso delle fragilità addotte ai traumi di un passato travagliato e irriducibile.
È la storia vera di un bambino la cui rettitudine viene a più riprese minata da una madre sconsiderata, incline alla rabbia, messa sotto da un’intrinseca debolezza, rabbuiata dalle ombre del fallimento che non la abbandonano mai. Per ogni scelta sbagliata esiste un abisso che cala sull’intera famiglia Vance, retta da una regina madre ben poco ortodossa, a rappresentanza di un’unica ancora di salvezza per un adolescente il cui massimo rischio corrisponde alla perdizione di se stesso.
Perno narrativo di Hillbilly Elegy risulta proprio la famiglia, un valore tanto in America quanto nel resto del mondo, un’entità che potrebbe essere un solido trampolino di lancio oppure la sua esatta nemesi, la discesa nell’oblio di un’esistenza misera, o peggio totalmente anonima, invisa alla normalità.
J.D Vance combatte disperatamente per rivendicare il diritto a un avvenire, a un futuro in grado di riparare le falle estendendo i concetti positivi dell’unità e della chimera chiamata felicità. La visione in divenire della pellicola pone fin da subito degli interrogativi, domande che stimolano l’osservanza della narrazione filmica: Cosa vuole dalla vita questa donna scontenta e disfattista? Riuscirà nonna Vance a tenere le redini della cavalla impazzita? Fino a quando riuscirà a reggere il giovane J.D.?
Tutto ha una risposta e, contrariamente al Beautiful Mind diretto nel 2000, il biopic di Howard stavolta non romanza ma al romanzo semplicemente si adegua toccando le corde giuste. Glenn Close non ha mai vinto un Oscar, cosa di per sé scandalosa se si pensa alle straordinarie performance in Attrazione Fatale di Adrian Lyne e Le relazioni pericolose di Stephen Frears.
Ora potrebbe esserci per lei uno spiraglio sacrosanto, ma se lo vincesse Amy Adams non ci sarebbe da stupirsi affatto, poiché nella già notevole carriera, questa rappresenta la sua miglior interpretazione. Nell’incanto generale, poi, resta un mistero la fresca bellezza di Freida Pinto che, anziché invecchiare, ringiovanisce, metafora in carne e ossa della Settima Arte, il Cinema.
Curiosità
Il film di Ron Howard è stato tartassato dalla critica statunitense, che ha però lodato l’interpretazione di Glenn Close.