Titolo originale: The house that Jack built
Regia: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier, Jenle Hallund
Cast: Matt Dillon, Uma Thurman, Bruno Ganz
Musiche: Victor Reyes
Produzione: Danimarca, Francia, Svezia, Germania, Tunisia, Belgio 2018
Genere: Thriller
Durata: 152 minuti
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Giudizio:
Trama
All’apparenza uomo tranquillo e scostante, Jack (Matt Dillon) è in realtà un killer seriale affetto da una psicopatia ossessivo compulsiva. Irrefrenabile negli istinti e meticoloso nel nascondere i cadaveri, l’assassino coltiva un sogno, costruire una comoda casa tutta per sé in un lotto di terra acquistato da tempo.
Ogni tentativo di edificarla finisce per non soddisfarlo, aumentando in lui la frustrazione. Intanto racconta a un misterioso interlocutore cinque dei suoi efferati omicidi, considerati “incidenti”.
Recensione
È il Lars von Trier estremo, diretto, filosoficamente violento, un po’ gore, costante e coerente, il regista controtendenza che non sa deludere preferendo farsi odiare che farsi amare e suscitando il clamore critico di cui ha bisogno.
La casa di Jack rappresenta – parafrasando il cineasta danese – “il film più brutale che abbia mai realizzato”, dimostrandolo non tanto con le più eloquenti immagini di tortura e morte, ma soprattutto tramite la cruda messa in scena di una psiche devastata dall’occorrenza di esprimere l’arte attraverso il sangue.
Uccidere e costruire corrispondono, secondo il protagonista, a due azioni parallele imprescindibili, legate, indivisibili, il cui binomio tutelerebbe l’equilibrio interiore di un uomo alla ricerca di sublimazione. Per rendere al meglio l’idea alla base della pellicola, Trier cambia le carte in tavola, modifica tabella e tecniche di lavoro agendo sulla divisione della produzione in due parti, sovrapponendo montaggio e post-revisione nell’arco di un lungo anno a caccia della perfezione stilistica.
Il risultato lascia francamente stupefatti, aderendo ai canoni propri di un ibrido di bellezza e sdegno che, nonostante ciò che si vede, non ha nulla di sadico (lo era invece Nymphomaniac per il modo di presentare la malsana crescita sessuale di una donna in balia della sua malattia). La casa di Jack fa da ennesimo tassello autoriale alla carriera di Trier.
Questa autorialità, tuttavia, ha cambiato volto rispetto a quella delle origini, de Le onde del destino, di Dancer in the dark e Dogville, spogliandosi dunque della vecchia pelle per assumerne un’altra di differente spessore estetico. Anche la recitazione muta forma, armonizzando assai meglio del passato il rapporto voce-silenzio, dando così la possibilità di parola anche al pensiero.
Lo sguardo vitreo da predatore famelico ma paziente di Matt Dillon mette i brividi e la sequenza del pic-nic con annesso tiro al bersaglio disturba parecchio gli animi più sensibili. C’è però la scena sipario che annulla qualunque possibile (e comprensibile) remora di giudizio, ovvero la superba rappresentazione della discesa all’Inferno citando Dante e Virgilio, qualcosa di fenomenale per fedeltà ai quadri a china di Dorè, la cromatica poetica e la definizione dell’ambiente.
Scopriamo allora che la giustizia divina esiste – come valore – anche per un ateo controverso e dannato, il Lars von Trier idiosincratico, dogmatico, nichilista e genio. In sintesi, provocatore.
Curiosità
Al Festival di Cannes, la pellicola ha suscitato sdegno in alcuni spettatori, mentre molti altri hanno applaudito l’opera premiando il film con una lunga standing ovation durante e dopo i titoli di coda.