Titolo originale: Saturday Fiction
Regia: Lou Ye
Cast: Gong Li, Mark Chao, Joe Odagiri
Produzione: Cina 2019
Genere: Noir
Durata:126 minuti
Regia:
Interpretazione:
Sceneggiatura:
Musica:
Giudizio:
Trama
La vicenda é quella della misteriosa attrice spia Jean Yu (Gong Li), una diva del cinema e del teatro, come quelle che costellavano Hollywood prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il periodo invece é quello dell’occupazione nipponica della Cina, ossia quello immediatamente precedente all’attacco del Giappone a Pearl Harbour.
La protagonista é da poco tornata in una Shangai divisa tra nazionalisti, stranieri orientali ed Europei. Pare quasi la Casablanca della Bergman e di Bogart. Non si sa se Jean cerchi di liberare l’ex marito, se voglia rincontrare l’antico amante, oppure se desideri semplicemente recitare nella piéce teatrale Saturday Fiction. La sua storia ben presto si intreccia vorticosamente con la Grande Storia.
Recensione
Lou Ye porta a Shangai il noir hollywoodiano anni quaranta. A metà tra il thriller spionistico e il melodramma amoroso, Saturday Fiction é una rivisitazione di genere abbastanza interessante.
La trama, non sempre semplicissima da seguire, tesse una rete avvincente di intrighi. Man mano che la macchina da presa segue inquieta le azioni dei personaggi, lo spettatore é sempre più catturato dai chiaroscuri della vicenda. Il bianco e nero sporco, scelto per la fotografia da Ye, contribuisce ad aumentare il fascino del film.
Sfuma poi la nettezza dei contrasti, come quella della verità. Essa difatti é duplice, proprio come l’identità dei personaggi. In un gioco tra finzione e realtà, tra storia e teatro, Lou Ye li fa specchiare l’uno nell’altro, quasi contaminare. Così l’ammiratrice di Jean diventa come lei spia e attrice.
Lei a sua volta interpreta la donna che ha ucciso. Il suo nemico recita la parte del marito. I nazionalisti si mischiano agli occupanti. L’Oriente diventa un po’ Occidente. La macchina da presa evidenzia queste sovrapposizioni passando senza stacchi dalle scene ambientate in teatro a quelle del film. I due copioni talvolta paiono contribuire a completarsi l’un l’altro.
Gli unici momenti di stacco sono utili a favorire la progressione temporale. La parte finale, appartenente ai veri e propri generi dell’action, é una sintesi tra lo stile di genere e il piglio autoriale del regista. Ció rende le sparatorie coinvolgenti, senza sottrarre spazio al dramma. L’apice di tutte le dualità, sia di forma che di contenuto, é la conclusione.
I due amanti, feriti o morti, sono isolati in una dimensione atemporale. A Jean cade la pistola da spia, e la musica invade il bar diroccato e semideserto dopo il combattimento. Ben presto la macchina da presa lascia il tavolo solitario di Jean e del suo amante, immergendoli, come all’inizio, nei balli della Saturday Fiction.
Curiosità
La protagonista Gong Li era già stata a Venezia, vincendo la Coppa Volpi nel 1992 per “La storia di Qiu Ju”.