
Essere genitori è una condizione molto delicata, di estrema felicità ma anche densa di preoccupazioni e ansie. La responsabilità che si ha del proprio figlio corrisponde a un onere che accresce paure ataviche e ancestrali. Messe tutte insieme danno origine alla cristallizzazione di un incubo, e questo incubo ha la forma del Bagman, una figura oscura che affannosamente respira, si nutre di angoscia, apre breccie, vi si infila e colpisce.
È un’entità mostruosa, allegoria del terrore moderno. Dal 23 gennaio 2025 ha iniziato a farsi conoscere con il film omonimo diretto da Colm McCarthy, Bagman, un horror al cui centro domina una malefica creatura che ha eletto come propria dimora una vecchia miniera di rame dismessa.
Al pari delle bestie più feroci, ama cacciare di notte, uscendo a reclamare le sue prede. Una volta marchiata, la vittima è segnata, destinata a finire dentro la sua sacca di pelle a cerniera, condannata al buio e a essere divorata.
L’esperienza infantile dello sceneggiatore John Hulme

Nel corso di una breve sortita insieme al fratello Liam, l’adolescente Patrick si avvicina troppo alla miniera, subendo da parte del Bagman il taglio di una ciocca di capelli. Riesce a fuggire, ma anni dopo il demone ritorna prendendo di mira sua moglie Karina e il figlio Jake.
La trama è frutto dello script di John Hulme, tratta da incubi ricorrenti che popolavano il sonno dello sceneggiatore quand’egli aveva soltanto 6 anni. Assistito da uno psicologo infantile, si liberò di quelle visioni a occhi chiusi ma esse si ripresentarono più insistenti e concrete con la nascita del figlio Jack, che Hulme immaginava minacciato da una misteriosa presenza, desiderosa di aprire la sua sacca per chiuderci dentro il piccolo.
Il regista Colm McCarthy ha espresso un pensiero condiviso con il produttore John Fischer:
“I film horror spesso danno il meglio di sé quando si basano su qualche aspetto oscuro della condizione umana” – aggiungendo che – “La verità è che la cosa migliore che si possa fare come persona, secondo la mia esperienza, è avere figli. Io ne ho due, li amo alla follia, sono la cosa migliore della mia vita. E la paura più grande che si possa avere è che succeda qualcosa ai propri figli. Questa paura è primordiale e basilare, ed è il fulcro della condizione umana.”
Bagman nelle varie culture: uno spauracchio mitologico
Bagman è una variante più spaventosa e subdola del celebre Boogeyman, l’uomo nero che a tutti i bambini sembra di vedere o quanto meno percepire negli angoli bui della casa. Una sensazione, una fobia che è assurta a spauracchio mitologico presente in ogni cultura poiché universale. Il concetto dell’orco che rapisce e mangia i bambini è un coriaceo grumo di malvagità allo stato puro.

In Spagna lo hanno soprannominato El Kuko, in Bulgaria Torbaian, ad Haiti Ton Ton Macoute, mentre in Algeria H’awouahoua. Un individuo con un grosso sacco sulle spalle, che mette i brividi, fa rizzare i capelli, terrorizza perché è identificato come un mostro con cui è impossibile dialogare o ragionare.
Il Bagman fa confluire su di sé gli elementi più profondi e viscerali del Male soprannaturale, non limitato dai vincoli dello spazio e del tempo, un persecutore antico, attivo in ogni epoca, da quella medievale a quella vittoriana, fino a oggi o al prossimo futuro. Per Hulme “Bagman è un mostro crudele e si diverte a fare del male ai bambini perché questo lo appaga.”
Il direttore della fotografia Nick Remy Matthews lo vede come “Un personaggio che raccoglie pezzi di sogni scartati.” Nemesi folcloristica di Babbo Natale, non dona ma si prende i giocattoli, in particolare quelli sui quali i proprietari riversano il proprio affetto, scardinandone così le difese.
L’aspetto di Bagman
Bagman ha una strategia di rapimento che comporta fasi di logoramento: agisce provocando, si fa vedere appena, non attacca, attrae le vittime con una bambola feticcio e quando finalmente si mostra, beh… è agghiacciante. Veste una tonaca consumata, sgualcita, coprendosi il capo con un cappuccio che non ne cela il ghigno marcio.
È il suo stesso volto ad avere la funzione di una maschera orribile, deturpata, e la sua mole ha dell’imponente, incede trasandato, quasi fosse un senzatetto, un barbone. Non appena Patrick si addentra nel suo antro, Bagman sbuca dall’intercapedine di una parete, e lo fa con le movenze di un ragno, una tarantola, rese dall’attore che ne veste i panni, Will Davis, un acrobata.
La sua tana è una sorta di nido illuminato da piccole fiaccole e pieno di ceste ove sono conservati i giochi sottratti ai bambini. Qui egli scatena la propria inesorabile violenza, s’impone laddove la caverna gli conferisce la forza necessaria per prevalere sull’uomo. Ha delle regole che rispetta, non scrupoli né pietà.
Will Davis ne parla come di un flagello:
“Bagman rappresenta quei mostri di cui si ha paura quando si è bambini. Vuole venire a prenderti e non è del tutto chiaro cosa voglia fare di te, ma sai che è incredibilmente terribile. Ti metterà nella sua sacca e ti porterà via. Non si scopre mai veramente cosa succede a questi bambini, cosa ne fa di loro. Il suo mistero è ciò che lo rende davvero terrificante.”