Sei al cinema, si spengono le luci, il film sta iniziando! E invece no, perché inizia una lunga serie di loghi animati, distinti tra loro, che sembra non terminare mai. C’è da chiedersi: ma sono proprio necessari?
La risposta è assolutamente sì, perché proprio quelle etichette rappresentano tutte le risorse utilizzate per trasformare una bella storia in un’esperienza.
Il mondo della Settima Arte pullula di vere e proprie “fabbriche di sogni” in cui svariati artisti si uniscono per poter creare film che, in alcuni casi, si rivelano dei capolavori. Il processo inizia dalle case di produzione, che mettono a disposizione di registi, attori e addetti ai lavori tutto il ciò che serve per concretizzare la loro visione.
Un grande esempio è la statunitense Columbia Pictures, fondata nel 1924 dai fratelli Harry e Jack Cohn insieme al loro migliore amico Joseph Brandt.
I cult che hanno reso grande la Columbia Pictures
In quegli anni, epoca di una Hollywood in grande ascesa, erano tre le big del settore: la Paramount-Publix, la Metro-Goldwyn-Mayer e la First National. La Columbia, tuttavia, è tra quelle aziende che sono state in grado di superare la prova del tempo, pur avendo inevitabilmente subito dei cambiamenti, soprattutto dopo essere entrata tra le industrie d’élite della dimensione cinematografica.
Lo status di major è stato raggiunto grazie all’Oscar ottenuto da Frank Capra nel 1934 con la pellicola Accadde una notte, la prima di una serie di grandi opere che hanno consacrato la Columbia rendendola uno dei pilastri del cinema per oltre un secolo.
Tra i cult più degni di nota ricordiamo Lawrence d’Arabia (David Lean, 1962), Taxi Driver (1976), Ghostbusters (Ivan Reitman, 1984), Le ali della libertà (Frank Darabont, 1994), Men in Black (Barry Sonnenfeld, 1997) e C’era una volta a… Hollywood (Quentin Tarantino, 2019).
Da Stanley Kubrick a Francis Ford Coppola, sono centinaia i registi che hanno lavorato sotto la supervisione della Columbia, permettendo agli spettatori di godere di avventure, storie di vita e innumerevoli modi di osservare la società da punti di vista ed epoche differenti. La Columbia Pictures verrà acquistata da The Coca-Cola Company nel 1982, ampliando così la propria offerta, ma passerà stabilmente sotto il controllo della Sony nel 1989.
Il logo della casa di produzione: la Torch Lady
Un elemento apparentemente trascurabile ma in realtà fondamentale è il logo dell’ente di produzione che, con il passare del tempo, viene rinnovato rendendolo sempre più sofisticato e intrigante, utilizzando gli strumenti che il progresso ha man mano messo a disposizione.
Ci sono anche società che scelgono di rappresentare nel proprio simbolo il genere cinematografico che più si abbina allo stile dei propri prodotti, come ad esempio quello della Pixar Animation Studios o quello della Blumhouse Productions.
Un’alternativa sono, invece, quelli della Twentieth Century Fox e della stessa Columbia Pictures, che puntano a presentarsi in modo grandioso e appariscente. Quest’ultima ha colto nel segno con la sua Torch Lady, divenuta ben presto simbolo di prestigio e qualità, fino a trasformarsi dal semplice logo in 2D che era nei primi decenni alla figura vivente ed emblematica che è oggi.
La sua storia inizia quando, nel 1992, l’illustratore Michael J. Deas viene incaricato di rinnovare il marchio della Columbia Pictures per poter presentare al mondo una visione più giovane e moderna della nota casa produttrice.
Per raggiungere lo scopo, l’artista chiede all’amica e fotografa Kathy Anderson – vincitrice del Premio Pulitzer nel 1991 – di scattare alcune foto che facessero da riferimento per il dipinto che gli era stato commissionato.
Anderson sceglie di avvalersi del contributo della sua assistente Jennifer Joseph, che lavora come grafica presso il Times-Picayune of New Orleans. Deas si presenta all’appartamento dell’amica fotografa portando con sé una serie di oggetti di scena che lo aiutassero a concretizzare la sua idea, tra cui alcune lenzuola, una bandiera e una piccola lampada che diverrà poi la famosa torcia.
Il servizio fotografico, che avvenne nel salotto dell’abitazione, doveva essere soltanto una prova ma ottenne ottimi risultati, tanto da spingere l’illustratore a replicare fedelmente la fotografia senza fare ulteriori cambiamenti.
Il resto è storia nota: Deas porta egregiamente a termine l’incarico creando un’opera senza tempo in grado di infondere l’energia che la Columbia voleva trasmettere con il proprio modo di fare cinema.
Per quanto riguarda Jenny Joseph, non aveva idea del fatto che il suo volto sarebbe stato proiettato nei cinema di tutto il mondo per più di trent’anni, tuttavia quella fu la sua prima e ultima esperienza come modella.
Dunque, il marchio di fabbrica delle case produttrici non soltanto è la firma di chi ha investito tempo, denaro e risorse per poter realizzare una pellicola di successo, ma è anche, per molti, un vero e proprio certificato di garanzia.