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È una violenza che non ha peso, capisci?

Frames “Il Sol Dell’Avvenire”
Nanni Moretti Director
Michele D’Attanasio Cinematographer

Nanni Moretti è nato per fare cinema, ne è un purista e con il procedere della sua carriera ha acquisito una maturità tale da andare oltre il proprio ego per darsi tutto al cinematografo. Il narcisismo che faceva capolino in Io sono un autartico (1976) ed Ecce bombo (1978) è ormai un ricordo impresso nei cahiers italiani dedicati alla materia.

Con Il Sol dell’Avvenire racconta un pezzo di storia politica, narra un set nel set eviscerando dal metacinema (che non è finzione bensì cinema dentro il cinema) quei concetti che gli sono sempre stati cari. Fra di essi l’esorcizzazione della violenza a partire dall’impotente osservazione del suo manifestarsi. La memoria ci riporta alle scorribande in vespa del Nanni Moretti regista/interprete di se stesso in Caro Diario (1993), solo a girovagare per le strade di Roma in agosto.

Facendo tappa in una sala cinematografica, resta allibito e disgustato dalla violenza gratuita e ingiustificata dell’altrettanto ingiustificato cult Henry pioggia di sangue (John McNaughton, 1986), in cui è protagonista un serial killer mosso a uccidere senza una logica, per il gusto di farlo quando e come gli pare.

Una violenza che Nanni non ha mai tollerato e che, purtroppo, è arrivata a permeare in maniera molto più drastica, lasciva e furiosa diversi generi della celluloide moderna, dall’horror all’azione, dal thriller alla commedia grottesca. Si è, insomma, evoluta andando incontro all’orizzonte di attesa di una vasta frangia di spettatori che cercano i titoli più cruenti, quelli dall’esasperata vocazione al sanguinolento e al massacro.

Una scena che non si deve girare

La visione di Moretti è sempre stata un’altra, principalmente connessa alla morale, all’etica, allo spirito del buon cinema non prostrato alla volontà commerciale. E perciò, mentre assiste alla realizzazione di una scena in cui un individuo sta puntando la pistola al volto ferito di un altro individuo inginocchiato con l’intento di ucciderlo, egli insorge contro il ben più giovane collega filmmaker, impedendogli il ciak che chiuderebbe di fatto le riprese. Nemmeno la moglie Paola (Margherita Buy), che della pellicola è produttrice, riesce a tenerlo a bada.

Giovanni:No, no, scusate… Questa scena così com’è non si può assolutamente girare. Anzi, non si deve girare!

Paola:Giovanni, che cosa stai facendo?

G:No, tesoro. Il problema che ci dobbiamo porre è sì estetico, ma soprattutto etico. [Si rivolge poi al regista] La scena che stai girando fa male al cinema, lo capisci? Fa male alle persone, allo spirito, fa male… a te che la giri e a noi che la guardiamo.

P:No no no, Giovanni ti prego, per favore… questa è l’ultima scena, l’ultima inquadratura. Faccela fare ti prego. Poi magari ne parliamo, eh?

G:Sì, però dobbiamo approfondire un momento questo problema. […] dobbiamo parlare proprio di questa inquadratura. Di questa immagine, così piatta e consumata.

Regista:Ma no… Ma questa inquadratura è una metafora del mondo.

G:Ma quale metafora! Questa è un’esecuzione: c’è uno che ammazza un altro.

R:Sì, però non ti fissare sulla pistola. C’è una tensione fra di loro, come se fosse una storia d’amore. Hanno bisogno l’uno dell’altro come due amanti. Il fatto è che io con questo film chiudo per sempre con il neorealismo.

G:No, il fatto è che a te la violenza proprio piace! Ne sei affascinato!

R:Sì, ma anche nelle tragedie greche c’è la violenza. Eschilo, Sofocle, e poi Dostoevskij, Shakespeare…

G:Sì, ma Shakespeare era Shakespeare!

R:Il mio modo di raccontare il mondo è accecare il male illuminandolo!

G:Che vuol dire? Paola, com’è possibile, ma dove l’hai trovato? Paola?

A questo punto, le riprese restano in stasi fino alla mattina. Dopo la consegna dei cornetti a tutta la troupe assonnata, Giovanni interpella telefonicamente l’architetto Renzo Piano per avere da lui un parere sulla scena che si sta girando. Successivamente chiama sul set un’amica matematica per l’analisi geometrica delle posture e ottiene la consulenza di Corrado Augias.

Rivolgendosi nuovamente al regista:

Tutti sono preda da anni di un incantesimo. Regista, produttori, sceneggiatori. Poi una mattina vi sveglierete e improvvisamente… comincerete a piangere perché vi renderete conto di quello che avete combinato!

Tira le somme e offre una vera lezione di cinema citando uno dei sommi maestri della Settima Arte:

In Breve film sull’uccidere di Kieslowski c’è un ragazzo che ammazza un tassista. La fatica che fa, il tempo che ci mette per ucciderlo […] Alla fine il tassista muore. È una scena che dura più di sette minuti e non vedi l’ora che finisca. Vorresti scappare! È una scena che allontana dalla violenza. È una cosa che non ti verrebbe mai in mente di imitare. Questa violenza qui, invece, è intrattenimento. È, come diresti tu (rivolgendosi al regista), adrenalina. È una violenza che non ha peso, capisci?

Non venendo compreso, Giovanni prova a contattare al cellulare Martin Scorsese per farsi dire come è cambiato il suo modo di raccontare la violenza da Taxi Driver a oggi. Quando finalmente ha su di sé l’attenzione di tutti, comunica che a rispondere alla chiamata non è il grande cineasta americano ma la segreteria telefonica.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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