C’è molta verità nell’ormai celeberrima scena del confronto verbale fra il ragionier Ugo Fantozzi e il piuttosto villoso energumeno Franchino, tratta dal quarto capitolo della tragicomica saga con protagonista Paolo Villaggio, ovvero Fantozzi subisce ancora (Neri Parenti, 1983).
Nella particolare sequenza, ambientata non casualmente fra i rifiuti di una spiaggia pattumiera in una sera illuminata da piccole lampadine (saccenza) e dal fuoco (sapienza), l’impacciatissimo impiegato viene messo alla prova da quello che sembra essere soltanto un barbaro troglodita dai connotati rudi, appunto il mastodontico Franchino.
Costui – facendo prevalere la propria gigantesca figura – lo sottopone a una vera interrogazione per saggiarne il livello culturale, rivelandone infine non soltanto l’evidente mediocrità ma – cosa più grave – una profonda ignoranza.
Ed è così che alla domanda “Cos’è la prostata?”, il ragioniere risponde in estrema sintesi “un dolce… una crostata.” Inoltre, dovendo rispondere al secondo quesito, per Fantozzi il kibbutz non è altro che l’espressione dialettale utilizzata dalle vecchie contadine di Alberobello per chiedere a chi bussa alla porta delle loro abitazioni di identificarsi (chi buss?). La controbattuta dell’interlocutore chiude la discussione: “Adesso hai capito che merdaccia sei!”
Da Fantozzi alla guerra in Israele: il sottile filo dell’attinenza
Fra i tanti segmenti estrapolabili, abbiamo scelto proprio questo in relazione ai tristi accadimenti bellici che stanno sconvolgendo il mondo, riferiti al conflitto esploso in Medio Oriente fra Israele e Hamas sulla striscia di Gaza. Il flusso di notizie provenienti dalle terre flagellate scorre frenetico raggiungendo l’opinione pubblica di tutto il pianeta, veicolato, canalizzato, espanso, viralizzato.
È tuttavia nella fruizione delle news che emerge uno sconfortante strapiombo di disinformazione, tale da offuscare giudizi e considerazioni, confondere il discernimento delle fazioni, indurre a macro errori di valutazione qualunquizzando e generalizzando le questioni. Esistono molti Fantozzi che in questo momento sputano sentenze senza neanche conoscere realmente i fatti, accantonando la storia e nuotando nella superficie del sentito dire.
E qui torniamo alla fatidica domanda di Franchino, alla quale vogliamo rispondere al fine di dare corretto significato a una parola molto diffusa nell’ambito della guerra israeliano-palestinese: “Cos’è un kibbutz?”
Cos’è un kibbutz?
Dall’ebraico קִבּוּץ traducibile con riunione o comunione, il kibbutz esprime un concetto di proprietà collettiva basata sui principi di egualità e condivisione. Concretamente, si parla di un luogo in cui prende forma un’associazione volontaria di lavoratori organizzata in comunità agricole a gestione collettiva, ottemperanti a regole prestabilite.
Sorte in Palestina alla fine del primo decennio del ‘900, hanno trovato applicazione anche nello Stato di Israele poiché aderenti al credo ebraico e alla concezione dell’insieme di beni e strutture inteso come proprietà, appunto, collettiva.
Secondo un ideale di stampo inequivocabilmente socialista, il kibbutz si fonda in primis sul dovere di lavorare di ogni singolo individuo, così da contribuire a produrre frutti e risorse da condividere – guadagni, case, cibo, vestiti, educazione dei figli – sfuggendo alle voraci logiche del consumismo occidentale. Il kibbutz più antico risale al 1909 ed è Degania Alef, fondato a sud del monte Ehilam, vicino al lago di Tiberiade, a nord di Israele, laddove è iniziata l’immigrazione ebraica in Palestina.
Nei kibbutz – governati ognuno da un’assemblea generale – si pratica l’agricoltura (un tempo di sola sussistenza), la manifattura, la lavorazione di materie plastiche e componenti elettronici. Oggi sono ca. 270 e vi abitano più o meno 125 mila persone. In uno di questi risiede il padre del famoso attore Raz Degan (Squillo, Alexander, Barbarossa), nato nel kibbutz Sde Nehemia. Hanno un’incidenza economica del 9% sulla produzione industriale del territorio e del 40% sulle attività agricole.
Il punto conclusivo
I terroristi di Hamas hanno già assalito alcuni di questi presidi rurali, tra cui il kibbutz Sufa, oggetto di un violento e sanguinoso attacco ripreso dalla bodycam di un militante, e il kibbutz Kfar Aza, dove sono stati ritrovati più di 200 corpi, 40 dei quali appartenenti a bambini israeliani.
Esiste dunque l’esigenza di informarsi nella maniera più adeguata, con strumenti idonei a recepire correttamente le notizie traducendole attraverso il personale bagaglio di conoscenza, la capacità di ragionamento e l’elasticità di logica.
Sapere cos’è un kibbutz è soltanto un primo, piccolo passo, ma necessario per ricomporre un quadro più completo, comprendere le situazioni, leggerle con acume e libertà di pensiero, per non impantanarsi in quella spiaggia pattumiera dove il povero Fantozzi, così piccolo e insulso davanti alla becera platea di quell’orrido teatrino, ha forse capito che non esistono solo frittatone di cipolla, partite di calcio in tv e sprezzanti signorine Silvani da corteggiare invano.