Sarà per le esigenze di spettacolarizzazione, sarà perché l’episodio si ricollega in qualche modo al primo film della passata trilogia – vi ricordate la valanga ne Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’anello? – fatto sta che i giganti di pietra hanno trovato ne Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato molto più spazio di quello che l’autore aveva loro dedicato nel suo libro, in cui li aveva congedati in poche righe.
Fu un peccato, veramente: quella bella allegoria, che interpretava una tempesta di montagna come uno scontro fra titani, aveva un fascino particolare ed esprimeva molto bene il sentimento di terrore e di impotenza che si prova quando ci si trova coinvolti in qualcosa di enormemente più grande di noi.
La natura della Terra di Mezzo
Perché di questo si tratta: la natura della Terra di Mezzo, e nella fattispecie quella delle Montagne Nebbiose, non fa parte in nessun modo della storia dell’Anello. Essa è infinitamente più antica e ha preceduto ogni leggenda conosciuta. Vi sono elementi, nell’universo di Tolkien che, pur non facendo parte del racconto, vi si affacciano ugualmente, moltiplicando così all’infinito i vari piani narrativi, in un rimando continuo di storie e di eventi.
Grandezza e forza nel sublime di Burke
Ora, dire che questo sia voluto anche nel film è dire troppo. Ciò nonostante, l’effetto è grosso modo lo stesso, e anche la scelta delle immagini è di aiuto in questo senso. L’indeterminatezza in cui sono tenuti i giganti, la piccolezza infinita dei Nani e dell’Hobbit al loro confronto, l’indifferenza dei giganti verso qualunque altra forma di vita oltre alla loro: tutto ciò rende benissimo l’idea di una grandezza smisurata, di un’immensa forza cieca che appartiene alla natura, e non soltanto nella Terra di Mezzo.
È il sublime come lo intendeva Burke: la percezione assoluta di una distanza incolmabile tra il soggetto e l’oggetto, un orrore che affascina proprio perché smisurato e imponderabile. “Ci sono altre forze che agiscono in questo mondo, a parte la volontà del Male. Alcune sono più forti di me, e contro altre non sono ancora stato messo alla prova” – così parlava Gandalf, in una delle scene de La compagnia dell’anello.
Alla natura non importa dell’Anello, non importa della guerra o del destino degli uomini. Cosa sarebbe successo se Bilbo fosse caduto in un crepaccio? Se non avesse trovato l’Anello, se non lo avessero distrutto?
Elementi e varianti nel mondo di Tolkien
L’intera storia avrebbe avuto un altro corso, certamente. Alcune cose, però, non sarebbero cambiate. Sono troppi, infatti, gli elementi in gioco, sono troppe le varianti. È in questa indeterminatezza, in questa continua possibilità di scacco che risiede il vero senso della storia, la sua universalità. È il mondo vivo e pulsante di Tolkien, il suo più gran capolavoro.