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Il dress code dell’assassino

Impermeabile scuro, cappello Fedora, guanti in pelle nera, scarpe anonime e arma bianca. Sono i ridondanti elementi che vanno a comporre il tipico abbigliamento del serial killer, ovvero il villain dall’identità misteriosa che ha reso il thriller un genere fra i più amati dai cinefili, declinazione violenta del classico giallo all’italiana.

Mario Bava, suo figlio Lamberto, e poi ancora l’indimenticabile Lucio Fulci, Sergio Martino, Sergio Pastore e Dario Argento – giusto per citare il gota dei directors di un filone da urlo (letteralmente parlando) – hanno saputo plasmare il vecchio exploitation creando un whodunit tutto nostrano, recuperato anche nel resto d’Europa e, soprattutto, oltreoceano.

Al contempo questa èlite di registi-artigiani ha instillato nello spettatore l’idea di un maniaco omicida abile a mimetizzarsi per poter aggredire la “preda” senza farsi notare, escludendo occhi indiscreti, generando un rapporto 1 a 1 con il malcapitato. Cosa più sconcertante, riesce a penetrare nel domicilio, l’unico aspetto dissonante con la verosimiglianza della vicenda criminosa.

Un modello consolidato di killer seriale

Il cinema italiano, in quanto entità vulcanica e leviatana, ha partorito attraverso i maestri della cinepresa un modello consolidato di killer seriale, uno speciale stereotipo capace di far breccia e affascinare nonostante la sua recidiva estetica. Ma anch’essa, così studiata, elaborata e messa in scena, è avallata da un preciso motivo.

Emerge un vero e proprio dress code dell’assassino che, piccole variabili a parte, si ripresenta in maniera costante. Un codice di abbigliamento concepito per schermare completamente l’individuo colpevole dei delitti e, in primis, il genere di appartenenza (sessuale). Impossibile sapere se si tratti di un uomo o una donna: l’impermeabile cela la forma del seno, la silhouette, vita e fianchi, camuffando perfino la camminata. Il cappello adombra il volto, i guanti nascondono le mani.

C’è di più. Adottando tale vestiario, il killer annulla ogni testimonianza oculare. Se non lo si può riconoscere a breve distanza, figurarsi da lontano e magari in mancanza di luce, con l’oscurità della notte a favorirne gli spostamenti in spazi aperti.

Sei donne per l’assassino: il primo killer in impermeabile

Nel cult Sei donne per l’assassino girato da Mario Bava nel 1964, si gettano le basi per la codifica universale del “giallo tricolore”.

Il villain è un maniaco senza volto, cioè coperto da un cappuccio bianco che ne nasconde ogni più piccolo tratto somatico. Veste un impermeabile, ha il cappello ed è provvisto di guanti. Non vi è modo di riconoscere quella violenta incarnazione del male, il terrore dell’atelier di moda gestito dalla contessa Cristiana Cuomo e Massimo Morlacchi, il trucida-modelle che ispirerà tra gli altri l’unica vera incursione nel genere dei fratelli Vanzina, Sotto il vestito niente. Vano qualunque tentativo di intuirne l’identità, se non alla fine.

L’uccello dalle piume di cristallo: l’omicida è alla porta

È il 1970 e nei cinema dello Stivale esce L’uccello dalle piume di cristallo, psycho-thriller che rivela al mondo l’originale e geniale talento dello sceneggiatore Dario Argento, finalmente passato dietro la macchina da presa per consegnare al mondo il suo personale whodunit. Esordendo con quest’opera, compie il primo passo della trilogia degli animali disegnando l’omicida secondo le linee tracciate da Bava.

Ciò significa la riproposizione del dress code dell’assassino, che si vede a figura intera nella sequenza del tentato omicidio di Giulia. E cosa vediamo? Una sagoma in controluce, coperta da impermeabile nero, cappello e guanti in pelle, là sulla porta e pronta a entrare.

Sette scialli di seta gialla: depistaggi e dress code

Due anni dopo irrompe sul grande schermo Sette scialli di seta gialla di Sergio Pastore, opera magna di un cineasta dall’esile filmografia, solo 12 pellicole all’attivo. Etichettato dalla critica come thriller casalingo rozzo e banaluccio, si presenta invece a testa alta proponendo omicidi atipici poiché perpetrati senza ausilio di armi, salvo il caso del fotografo Harry sgozzato nel suo studio e di Margot trucidata a colpi di rasoio sotto la doccia.

Le prime vittime, insomma, sembrano essere tutte morte per causa naturale. Uno scialle di seta giallo lasciato intenzionalmente accanto al cadavere, tuttavia, lo esclude. Anche in questo caso se uomo o donna non ci è dato sapere fino all’ultimo poiché il pubblico viene continuamente depistato da Pastore e dal fastidioso ma necessario dress code.

Profondo rosso e quell’elemento chiave nascosto nella memoria

Dario Argento risale in cattedra nel 1975. Ha già diretto Il Gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio ma non ancora un film in grado di essere definito unanimemente “capolavoro”. La sua firma autoriale si arricchisce con Profondo rosso, un pamphlet cinematografico che indaga l’abisso della psiche, traumi infantili, devianze mentali e frustrazioni.

Il serial killer dà corpo a tutto questo. Argento lo inserisce dapprima sulla scena tramite dettagli e focus su occhi e mani guantate durante la conferenza di parapsicologia tenuta dalla sensitiva Olga, poi lo mostra in campo medio mentre si allontana di sera dall’appartamento della medium dopo averla barbaramente uccisa. Il pianista Marc Daly, poco distante, si precipita in casa della vittima scorgendo qualcuno allontanarsi a passo svelto. Qualcuno con indosso impermeabile e cappello.

Marc è inizialmente un testimone inutile, però ha in testa un elemento chiave per la riuscita delle successive indagini, qualcosa di estremamente determinante se non fosse che… non lo ricorda, perso nella sua memoria scossa.

Vestito per uccidere: dress code con variabile

Dopo l’analisi di pellicole di casa nostra, val la pena citare Vestito per uccidere, thriller che Brian De Palma ha diretto nel 1980 introducendo qualche variabile nell’outfit dell’omicida. Lo si nota chiaramente nella scena più agghiacciante, quella in cui Kate Miller viene uccisa all’interno dell’ascensore.

Appena aperte le porte, il killer incombe sulla vittima, porta un impermeabile, il volto è scoperto tranne gli occhi, specchio dell’anima oscurato da un paio di occhiali da sole, lasciando intravedere una chioma bionda. La rivelazione del colpevole vorrebbe essere un coup de théâtre. Non lo sarà affatto, in virtù di una considerazione: il giallo all’italiana resta e resterà un paradigma inimitabile, esattamente come il dress code dell’assassino.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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2 thoughts on “Il dress code dell’assassino

  1. Bel commento, sintetico ma ben strutturato. La ringrazio soprattutto di due cose: di aver parlato di Sette scialli di seta gialla, film sommamente sottovalutato da tutti, ma soprattutto di aver evitato di rivelare le identità dei killers, “dettaglio” di cui ben pochi sono consapevoli.

    1. Gentile Antonio,
      grazie per le parole di apprezzamento nei confronti del mio pezzo. Ho amato e amo tuttora “Sette scialli di seta gialla”, film esemplare nell’ambito del filone. Caratterizzato molto bene il personaggio di Peter Oliver, coinvolgenti le atmosfere, fittissimo il mistero. Sembrava opportuno non fare spoiler per rispetto di coloro che avranno modo di scoprire le pellicole citate nel cinefocus in questione, specialmente le giovani generazioni, sempre che qualche ragazzo di oggi possa effettivamente recuperare questi bei gialli datati ma ancora superiori a tanti thriller moderni privi di suspense e sceneggiature doverosamente articolate.
      Grazie nuovamente e continui a seguirci, non resterà deluso.

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