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Il duro lavoro delle mondine nelle risaie

Il film Riso amaro, diretto nel 1949 da Giuseppe De Santis, si basa su una vicenda che coinvolge delle mondine e vede protagoniste Doris Dowling e Silvana Mangano, icona del cinema italiano.

Per cogliere, tuttavia, il significato della storia occorre comprenderne il contesto e indagare storicamente e socialmente sulla figura della lavoratrice descritta.

Il lavoro della monda

La mondina veniva impiegata durante il periodo di allagamento dei campi, tendenzialmente dalla fine di aprile agli inizi di giugno alfine di proteggere le piantine di riso dallo sbalzo termico causato dall’alternarsi del giorno con la notte, nelle prime fasi del loro sviluppo. La monda veniva svolta nelle risaie e consisteva nello stare per intere giornate con l’acqua fino alle ginocchia, a piedi nudi e con la schiena curva, postura obbligata per poter togliere le erbacce infestanti che disturbavano la crescita delle piantine di riso.

 

Il lavoro era di per sé molto faticoso, praticato da persone di basso ceto sociale provenienti in gran parte da Emilia Romagna, Veneto e Lombardia e dirette verso le risaie in provincia di Vercelli, Novara e Pavia. Queste donne partivano dalle proprie case utilizzando mezzi di fortuna per raggiungere le stazioni dove le attendevano i treni. Nei campi ci si organizzava a file in modo da coprire la zona nella sua interezza, in modo ordinato, e al contempo farsi compagnia.

Durante la giornata lavorativa le mondine usavano cantare, spesso intonavano canti volti alla provocazione, che coinvolgevano le lavoratrici locali opposte alle forestiere. La mondina era caratterizzata da un abbigliamento particolare: calze di filanca e fazzoletto tirato sul viso per proteggersi dagli insetti che proliferavano nelle paludi e nei terreni umidi; calzoncini o, in alternativa, mutandoni; grossi cappelli per ripararsi dal sole.

Condizioni di lavoro e protesta collettiva

Le condizioni d’impiego di queste lavoratrici erano pessime: circa dodici ore al giorno in risaia con una retribuzione in proporzione molto bassa, ingiustamente inferiore a quella degli uomini. Tale situazione portò agli inizi del ‘900 a una protesta collettiva atta a regolarizzare la posizione della mondina attribuendole non più di otto ore di lavoro al giorno pagate con un salario consono alla fatica.

Si pervenne a un buon risultato tra il 1906 e il 1909, quando alcuni comuni del vercellese accolsero le richieste delle mondine approvando regolamenti idonei alla tipologia di lavoro prevista. Oltre alla normale retribuzione, alla mondina veniva corrisposto 1 kg di riso al giorno: alla fine del periodo, ogni donna arrivava a un totale di circa 40 kg di riso.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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