stefano bessoni
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Intervista d’archivio: Bessoni racconta Bessoni

stefano bessoni
Foto © Museo Nazionale del Cinema di Torino

Roma. Un ventoso martedì di aprile 2015, ore 17,15. La scrittrice pianezzese Cristina Vitagliano non era ancora tale prima dell’intervista a Stefano Bessoni, regista, scrittore, disegnatore, personaggio eclettico e oltremodo interessante, colui che insieme a Edgar Allan Poe l’ha ispirata per la realizzazione delle opere letterarie Dark Phantasy – Fiabe del macabro e dell’assurdo (2016) e Il cuore quantistico (2018).

Riproponiamo questo loro confronto proprio nel giorno in cui al Museo Nazionale del Cinema di Torino viene inaugurata la mostra Stefano Bessoni. La Mole delle Meraviglie, ospitata alla Mole Antonelliana dal 10 maggio all’11 settembre 2023.

L’intervista a Stefano Bessoni

Quanto segue lo racconta Cristina.

Mi aspetta davanti alla fermata della metropolitana. Cominciamo a chiacchierare, gli rivelo di essere una sua fan e lui, per tutta risposta, esclama ridendo: “Ma io sono un povero sfigato!“. Entriamo in un baretto nel cuore del quartiere San Giovanni ed è davanti a uno spritz che l’intervista ha inizio.

Dunque, iniziamo con una piccola scheda di presentazione. Stefano Bessoni, età? Se vuoi dircela ovviamente.

Che brutta cosa, comunque la dico perché quest’anno è cifra tonda, faccio 50 anni a settembre.

Professione?

Disoccupato.

Ma come, disoccupato?

(Ride). No, vabbè, sono regista cinematografico, illustratore e animatore ma oggettivamente in un paese come il nostro è difficile vivere di questi lavori. Appartengo a una di quelle categorie che in Italia sono tartassate.

Filosofia di vita?

Sicuramente fare sempre quello che sento e che mi piace, ho sempre vissuto sperando di non dover mai rimpiangere di non aver tentato di essere ciò che volevo e inoltre cerco di non limitarmi mai a una singola forma di espressione.

Passatempo preferito?

Fare attività fisica, mi piace moltissimo correre.

Bene, la scheda di presentazione è finita. Passiamo a qualche altra domanda: se fossi costretto a scegliere fra scrivere, disegnare e fare film, cosa sceglieresti?

Un’altra cosa (ride). Fare una scelta sarebbe difficilissimo, comunque diciamo che forse sceglierei il disegnare, perché è una cosa che ho fin da bambino, una sorta di mio istinto primario.

Quale definizione senti più adatta alla tua arte? Macabra, mortifera, inquietante o horror?

Decisamente macabra. È la definizione che preferisco oltre a essere un termine risaputo per il mio stile. Mi piace anche mortifera, però, è una parola che uso spesso per descrivere il mio temperamento. “Macabro”, del resto, indica qualcosa di cupo ma non divertente mentre io mi sento più mortifero, una persona allegra ma… beh sì, mortifera. Il termine inquietante invece mi infastidisce molto, spesso lo sento usare a sproposito magari da persone che guardano la locandina di un mio film e dicono “inquietante”, senza in realtà sapere nemmeno di cosa si tratta. Per quanto riguarda la parola horror, non me la sento per niente addosso.

Beh, le tue opere hanno senza dubbio un tono dark, ma tu che rapporto hai con la paura?

Mi piace raccontare mondi e costruire cose vicine al mio temperamento, ad alcuni fanno paura ma a molti no. Nel periodo di Imago Mortis hanno voluto a tutti costi attaccarmi l’etichetta di regista del nuovo horror italiano, ma in realtà sono molto più legato al mondo delle fiabe, ai racconti romantici di Hoffmann, al perturbante freudiano, a Edgar Allan Poe.

A proposito di Poe, domanda provocatoria: due secoli fa egli usò il termine “di cattivo gusto” parlando di un suo celebre racconto. Tu applicheresti mai questa definizione alla tua arte?

Non saprei, è difficile definire cosa sia di buon gusto. Due secoli fa le cose erano molto diverse, per come sono le cose oggi, io in realtà mi definirei di buon gusto. Trovo invece di cattivo gusto quell’horror che sconfina nello splatter, nella violenza sui bambini e che propone dosi di cattivo gusto che Poe, poveretto, nemmeno poteva immaginare. A questo proposito mi piace sempre citare una vecchia canzone di Franco Battiato, che dice: “In quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell’orrore”. Secondo me è giustissimo, ci sono film che a mio avviso non dovrebbero nemmeno circolare. Io mi definisco elegante, poetico e romantico. Per me fantasticare su scheletri e mondi fantastici non può essere giudicato di cattivo gusto, è semplicemente un parametro soggettivo.

Quando nasce la tu vena macabra?

È sempre venuta da sé, non c’è mai stato un momento preciso. Ho sempre avuto questo temperamento, questa passione innata e inconscia per cose cosiddette “macabre” tanto che, come ho già detto diverse volte, da piccolo sognavo di fare il becchino!

Parlando di film, hai preferito la dimensione più commerciale di Imago mortis o l’indipendenza di Krokodyle?

Chiaramente mi sento più a mio agio quando lavoro da indipendente, però nel realizzare un film ci si trova meglio con un determinato budget, attori professionisti e una macchina che funzioni in un certo modo. Diciamo che la condizione ideale sta nel mezzo, anche perché se da una parte non è piacevole sentirsi limitati, dall’altra la troppa libertà non aiuta; ogni tanto sento la necessità di qualcuno che mi corregga, che mi faccia rientrare nei binari giusti. Purtroppo l’esperienza di “Imago mortis” è stata traumatizzante. Sono stato gestito da persone che hanno snaturato il lavoro, tanto che alla fine il film non funzionava del tutto. La maggior parte delle critiche di “Imago mortis” sono tremende e me le sono dovute prendere io sulle spalle nonostante non dipendesse solo da me. Spero che presto mi venga data l’occasione di dimostrare come so fare il mio lavoro.

Ti reputi un autore di nicchia?

Sì, assolutamente, mi sento un autore di nicchia perché racconto un mondo che non è per tutti.

E se ti venisse proposto di sceneggiare un film in cui però dovresti rinunciare alla tua natura pur di avere un grande successo al botteghino? Accetteresti o rimarresti fedele alla tua “nicchia”?

Lo farei a patto che si mantenga un perché forte del fatto di essere stato chiamato; se mi chiamano è perché apprezzano il mio mondo. Prendi per esempio la saga di Harry Potter: la rosa di registi chiamata per girarlo era tutta composta di persone i cui mondi erano riconducibili a quello.

Gireresti un ipotetico Harry Potter?

È come dire, se trovi una banconota da 100 euro per terra non la raccogli? Sì, certo, io adoro Harry Potter, adoro Lemony Snicket e cose del genere. Se mi chiamassero per un progetto legato al fantastico mi piacerebbe molto partecipare.

Un piccolo test di personalità. Sei di notte da solo: ti trovi più a tuo agio in una camera oscura, in un cimitero o in un laboratorio di tassidermia?

Nel laboratorio di tassidermia.

Quindi si può dire che la tua formazione biologica sia rimasta un punto fermo nella tua arte.

Assolutamente, in effetti ho frequentato due anni di scienze biologiche. Comunque premetto che la notte mi spaventa, del resto il mio mondo fa riferimento a quelle paure ancestrali che sono dentro di noi.

Ti arrabbi a questo proposito se ti dico che ho trovato “Imago mortis” inquietante?

No, perché è vero.

Se ti chiedessero di fare “Imago mortis 2”?

Se me lo lasciassero fare rispettando le mie idee, probabilmente ma sarebbe un suicidio perché non è andato bene a livello di critica.

A quale dei tuoi film ti senti più legato?

“Krokodyle”, perché è il mio autoritratto in forma macabra e fantastica, però ti posso anche rispondere che il film che preferisco è quello che devo ancora fare.

Per quanto riguarda i personaggi fantastici a cui ti sei dedicato nei tuoi libri, ti senti più legato a Pinocchio o Alice?

Pinocchialice, direi. Sono talmente importanti per me che non so scegliere. Pinocchio l’ho incontrato da bambino, Alice un po’ dopo ma l’ho amata da subito. Li adoro entrambi e ho sempre cercato di trattarli personalizzandoli senza snaturarli, com’è invece successo in passato. Parlando di Alice, ad esempio, non mi piace sentire termini come “il brucaliffo”, “lo stregatto”, per non parlare della deliranza (danza rappresentata da Johnny Depp nei panni del Cappellaio Matto nel film di Tim Burton Alice in Wonderland, che è stato uno dei momenti più bassi della carriera di Burton e Depp.

Ho notato una grande influenza nelle tue opere della cultura anglosassone e germanica. Da cosa deriva?

Deriva dal mio temperamento, che non è tipicamente mediterraneo. Mi sento più nordico, anche a livello umoristico, mi piace un grottesco che è più vicino al temperamento anglosassone.

Perché non ti sei mai trasferito all’estero?

Per paura, ci vorrebbe molto coraggio, però in questo momento la mia vita è in una fase di cambiamento, quindi non escludo un trasferimento. Ho iniziato a lavorare un po’ in Spagna e devo dire che lì mi trovo molto bene. Non sarà un paese nordico, ma il mondo latino americano ha una cultura della morte e dell’orrore che mi affascina molto e quando vado lì mi sento compreso.

Secondo te perché il tuo genere in Italia non è mainstream e ha più successo in altri paesi?

Non lo so sinceramente, mi chiedo il perché anche io.

Una battuta su alcuni registi. Mario Bava?

Così mi spiazzi (ride). Una battuta?

Una battutina.

Ok, allora per Mario Bava direi “fondamentale”.

Dario Argento?

Sopravvalutato.

Barry Purves?

Grande amico e maestro, è una sorta di padre spirituale per me, tanto è vero che ha scritto l’introduzione del mio libro sulla stop motion. Mi sono innamorato dei suoi lavori quando ero giovanissimo e forse gran parte della mia passione per la stop motion nasce da lui.

Tim Burton?

Lo amo e lo odio allo stesso tempo. Mi piace definirlo il signor “culo rotto Burton” perché è bravo in maniera naïf, inconsapevole, ma ha avuto la fortuna di trovarsi al posto giusto al momento giusto. Mi piace la maggior parte dei suoi film ma trovo che in questi ultimi anni si sia incartato su se stesso. Mi piacerebbe rivedere il Burton di Beetlejuice o anche di Big Fish.

Un attore con cui sogni di lavorare? Che sogni di avere in un tuo film?

Parlando di grandi nomi, adorerei lavorare con Elijah Wood, che secondo me ha una delle facce più adatte a coprire i miei personaggi. Per essere più realista, invece, posso dirti che mi piacerebbe molto lavorare nuovamente con Geraldine Chaplin, adoravo il lavoro di Alex Angulo anche se purtroppo è morto l’anno scorso quindi non potremo più lavorare insieme. Mi piacerebbe anche molto rilavorare con Lorenzo Pedrotti, protagonista di “Krokodyle” e mi piacerebbe moltissimo collaborare con Jasmine Trinca, che reputo una bravissima attrice.

Ultima domanda, Stefano. Cosa c’è nella tua wunderkammer?

Di tutto! Tutto quello che in me desta stupore e meraviglia quindi teschi, animaletti rinsecchiti, burattini, vecchi giocattoli, e tanto altro.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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