L’ascensore è per precisa definizione un “impianto di sollevamento per persone, costituito essenzialmente da una cabina che scorre verticalmente tra due guide, sostenuta da funi d’acciaio” ormai entrato a far parte della vita quotidiana come mezzo di uso comune per spostarsi agevolmente da un livello all’altro.
Potrebbe altresì essere definito, semplicemente, come una comune cabina a forma di parallelepipedo, oppure come un mezzo di trasporto per viaggi brevi e itinerari prestabiliti o, ancora, come un nonluogo – per rubare il neologismo all’antropologo Marc Augé – che offre un punto di osservazione privilegiato della natura umana. Infine può essere uno spazio chiuso dove le proprie ansie e paure vengono scatenate.
È tutto questo, ma certamente anche molto di più.
Dal Colosseo al cinema
Sebbene, concettualmente, l’ascensore esista sin dai tempi del Colosseo, la sua progettazione affonda le sue radici nel XIIX secolo, momento in cui è stato possibile automatizzarlo grazie alle tecnologie post seconda rivoluzione industriale. La componente moderna e innovativa di questa scatola magica lo portò presto a diventare un elemento nuovo anche per il mondo del cinema.
Pur essendo, in fin dei conti, uno spazio quasi anonimo nella sua essenzialità, numerosi registi si sono ispirati a questo mezzo per suscitare nello spettatore le più disparate emozioni attingendo al quotidiano, riuscendo a concentrare l’attenzione in questi pochi metri capaci di mutare lo scorrimento di una giornata o un’intera vicenda. Quando le porte si aprono o si chiudono all’improvviso, tutto può succedere.
Destino e intimità
Il destino dipende da cosa si decide. Si può decidere di salire o aspettare, di tacere o interagire, di correre o lasciare. Comunque, delle vite entrano in contatto e possono cambiare per sempre nello spazio ristretto di pochi secondi. Che sia un viaggio romantico o infernale, nessuno lo sa. Possiamo solo lasciarci trasportare.
A volte, l’intimità di un ascensore può diventare scenario dell’immaginario erotico e sentimentale, come accade per esempio in La Signora in Rosso (Gene Wilder, 1984), dove Theodore Pierce insegue Charlotte fino all’ascensore, per farsi notare dopo essere stato folgorato nell’iconica scena del ballo di lei in garage con il vestito rosso.
Quando l’ascensore ci mette lo zampino…
Più spesso, invece, questo spazio limitato offre lo spunto per poter analizzare la fragilità umana attraverso l’interazione con la tecnologia a cui si affida. Lo sanno bene i protagonisti delle pellicole noir e horror che a questo mezzo si sono ispirate.
Ascensore per il Patibolo (Louis Malle, 1958) racconta la storia degli amanti Julien e Florence, che organizzano l’omicidio del marito di lei facendolo passare per suicidio. Un piano perfetto, mandato a monte dall’imprevisto e da circostanze banali. Tutto infatti fila liscio finché, durante la fuga, lui rimane bloccato tutta la notte nell’ascensore del palazzo.
E se per Julien il tempo si ferma in quello spazio chiuso che lo lascia solo con i suoi pensieri, il mondo fuori va avanti, e tra equivoci e intoppi, lo incastra per un altro delitto. Sarà un caso?
…O prende vita
Con De Lift – L’Ascensore (Dick Maas, 1983), al contrario, l’ascensore di un grande stabile diventa il protagonista, prendendo vita e iniziando a uccidere ignari passeggeri, apparentemente a caso.
Una gigantesca scatola di metallo tecnologica e fuori controllo che va su e giù, a suo piacimento, trascinato da cavi sempre pronti a spezzarsi e porte che tranciano persone nell’atmosfera algida e sospesa di un palazzo che con i suoi spazi ampi, vuoti e disabitati sembra riflettere un deserto urbano contemporaneo.
Un contenitore molto pericoloso
Indiscusso protagonista della scena finale di Profondo Rosso (Dario Argento, 1975) qui l’ascensore sarà la chiave per arrestare la furia omicida dell’efferato serial killer. L’assassino, infatti, rimane incastrato con il proprio medaglione appeso al collo tra le maglie dell’ascensore, mentre tenta di uccidere il protagonista. Marc Daly ne approfitta per premere il tasto di rimando al piano terra, decapitando il pluriomicida.
Contenitore claustrofobico per eccellenza, in Devil (John Erick Dowdle, 2010) l’ascensore viene scelto addirittura dal diavolo in persona per mettere in atto il suo disegno. Come descritto in una vecchia leggenda messicana che apre il film (il Diavolo, prima di reclamare l’anima dei dannati, li raduna in un luogo per torturarli fino morte), cinque sconosciuti salgono su uno degli ascensori di uno dei tanti grattacieli di Philadelfia.
L’ascensore si blocca, la luci vanno e vengono a causa di continui blackout e nel mentre, misteriosamente, uno a uno i passeggeri muoiono in un crescendo di emozioni, paure e sospetti che trascinano anche lo spettatore all’interno della cabina stessa. Nel finale, però, il colpo di scena rivela che tutto accade per un motivo.
Gabbia e rifugio salvavita
Scenario diametralmente opposto è quello che ci offre The end? L’inferno fuori (Daniele Misischia, 2017). L’ascensore, in questo caso, diventa gabbia e rifugio insieme. Sullo sfondo c’è Roma, stretta nella morsa di una follia generale, causata da un virus che si diffonde repentinamente e che trasforma le persone in zombie.
In questo clima, il cinico protagonista Claudio resta bloccato tra due piani, in un ascensore, per una giornata intera, mentre attorno a lui imperversa il terrore. Lo spettatore vive l’inferno fuori del titolo attraverso ciò che il protagonista vedrà attraverso le porte aperte per metà dell’ascensore e si ritroverà coinvolto a fronteggiare i ripetuti e improvvisi attacchi degli infetti nel tentativo estremo di aver salva la vita.
Su e giù per l’inconscio
In un viaggio figurato, il protagonista di Inception (Christopher Nolan, 2010) Dominic “Dom” Cobb ruba i segreti dalle menti delle persone mentre queste dormono, infiltrandosi nei loro sogni tramite un ascensore a timer nella speranza di poter un giorno ricongiungersi con i figli dopo la morte suicida della moglie che ancora lo perseguita. I diversi livelli dell’inconscio e dello spazio onirico sono raggiungibili scegliendo il pulsante corrispondente al ricordo desiderato.
Positivo o negativo, trappola o salvezza, quindi, ancora una volta tutto dipende dalla natura umana e da come usiamo, e non abusiamo, la tecnologia che abbiamo creato nel tentativo di migliorare le nostre vite, dall’attenzione che prestiamo all’altro e agli spazi di ciascuno, da quanto lontano ci vogliamo lasciare trasportare dalle emozioni o da quanto invece scegliamo di fermarci, di rallentare, per riprendere contatto con noi stessi.
Ascensore o scale? A voi la scelta.