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Leatherface vs influencer: la morte della superficialità digitale

Si sa che i veri cult non smettono mai di essere tali, così come le icone del cinema horror. Una di esse è sicuramente Leatherface, il killer con maschera e motosega che ha iniziato a dipingere un’interminabile scia di sangue dominando la scena in Non aprite quella porta (Texas Chainsaw Massacre) diretto da Tobe Hooper nel 1974.

Il personaggio è poi risorto innumerevoli volte in una moltitudine di pellicole che hanno attraversato il genere negli ultimi anni, tra remake, sequel e reboot. E nell’ultimo capitolo (David Blue Garcia, 2022) firmato Netflix, il mastodontico assassino psicopatico ritorna per fare piazza pulita di un branco di non particolarmente intelligenti e socialdipendenti ragazzi della Gen Z.

L’inizio della fine: l’icona dell’horror si abbatte su Harlow

La storia comincia con l’arrivo di un gruppo di giovani nella sperduta e dimenticata cittadina di Harlow, giunti con il progetto di mettere all’asta le proprietà del luogo per far spazio a bar e locali, trasformando quella terra di nessuno in un’area mondana. Durante l’ispezione di un ex orfanotrofio, due dei ragazzi scoprono che a occuparlo c’è ancora un’anziana signora.

Scoppia una discussione in cui la donna afferma di avere i documenti che attestano che la proprietà è ancora sua, mentre gli avventori insistono che la banca l’abbia già sfrattata dall’immobile per fini di vendita. Nel mezzo della disputa fa la sua comparsa un individuo misterioso, imponente e silenzioso, poco prima che la signora collassi a terra per un infarto.

Nel tragitto verso l’ospedale muore e, da questo momento, si scatenerà la furia omicida dell’uomo, che si rivelerà essere Leatherface, il famoso killer che 49 anni prima aveva commesso una serie di atroci delitti proprio lì in Texas.

La strage dei social media: il narcisismo fatale della generazione Z

L’apice del massacro viene raggiunto con la strage degli influencer, chiamati a sponsorizzare e a “dare vita” a un posto che vita non ne aveva e probabilmente non ne voleva. La scena è ben costruita nel suo voler dare un senso di claustrofobia e impossibilità di scappare di fronte all’avanzare di una morte certa all’interno di un autobus.

L’inquadratura si riempie così di un tripudio di corpi smembrati nei modi più allucinanti, una sequenza splatter come non se ne vedevano da un po’ di anni. La cosa davvero raccapricciante, però, è che a inquietare di più non sono i cervelli (vuoti) che schizzano da una parte all’altra o l’enorme quantità di sangue che arriva a “macchiare” lo schermo, ma quanto succede prima della mattanza.

Leatherface sale sul bus dove gli ignari influencer stanno festeggiando e “inaugurando” la loro nuova località di svago. Nonostante il fatale energumeno non passi inosservato, con la faccia coperta da una maschera di carne umana e una motosega pronta a tranciare qualunque cosa possa sfiorare, nelle vittime annunciate non prevale alcun istinto di sopravvivenza ma solo la folle fame di visibilità.

Anziché tentare di scappare o quantomeno di capire cosa stia davvero succedendo, tutti prendono in mano il proprio cellulare per filmare quello strano uomo e renderlo contenuto per le loro stories. Non si tratta di sottovalutare il pericolo, quanto di non saperlo riconoscere, al punto che uno dei ragazzi sfodera l’esclamazione del secolo: “Se mi ammazzi ti cancello!

Quegli idioti sono mossi da un qualcosa che li spinge a dover mostrare costantemente ciò che accade intorno, come se il fatto stesso di non renderlo pubblico equivalesse a non averlo mai vissuto. Si tratta del morboso bisogno viscerale dei social per poter rendere il mondo reale attraverso un filtro effimero. Ed è così che vengono eliminati: come una massa di inconsapevoli imbecilli che non si rendono conto di niente finché non sono già morti. I patologi non troveranno nelle loro teste alcuna traccia di materia grigia.

Oltre la motosega: la critica sociale tra reale e virtuale

Leatherface non è solo un’icona dell’orrore cinematografico ma un riflesso indiretto della società con cui si scontra. Il film ci mette di fronte a una realtà distorta, dove il desiderio di essere visti può portare alla cecità intellettuale.

Questa storia ci ricorda che, talvolta, la vera paura non risiede nel mostro con la motosega ma nell’incapacità di moltissimi Millennials di vedere al di là dello schermo. La linea tra realtà e rappresentazione digitale diventa sempre più sottile, mettendo a rischio la corretta percezione del mondo.

Buona parte della generazione Z (Z sta per zombie?) non vive ma si limita semplicemente a esistere.

Alessia Cristiano

Appassionata di comunicazione e fanatica della settima arte, ho studiato marketing e strategie per i media e attualmente lavoro nelle PR per un'azienda nel settore dell'energia. La mia forte inclinazione verso il mondo dell’audiovisivo mi ha spinto a voler ampliare le mie competenze e avvicinarmi ulteriormente a questo settore. Per questo motivo mi sono rimessa in gioco con un master in “Media and Entertainment”, con l'obiettivo di specializzarmi sempre di più in ciò che desidero realmente fare. La scrittura è sempre stata per me uno strumento naturale di espressione, non solo verso gli altri ma soprattutto verso me stessa. Così, eccomi qui, a unire queste due passioni che mi hanno spinta a scrivere ancora, ma questa volta di cinema.
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