Alex è un ragazzo di sedici anni con la passione per lo skate. Nella soporifera cittadina americana in cui vive, le giornate scorrono tranquille rasentando la noia.
Le cose però non vanno comunque così bene come appare: suo padre è andato via di casa, sua madre si imbottisce di tranquillanti e lui è un ragazzino qualunque, pieno di confusione come tutti gli altri amici adolescenti, vittima di un’apatia paralizzante, di quel torpore tipico di chi non sa cosa fare ancora della propria vita.
I ragazzi sono abbandonati a loro stessi e passano il tempo a scorrazzare senza meta, senza porsi troppe domande sulla vita, gli adulti non rappresentano un punto di riferimento. Ciò che fa stare bene Alex è lo skate e quando il suo amico Jade lo invita ad andare al paradiso degli skate, il Paranoid Park, dove tutti gli skaters sono soliti riunirsi, non sa che fare, ma alla fine accetta.
Da lì le cose cambieranno. Quel luogo segnerà il suo destino, sarà il catalizzatore che lo spingerà in mezzo a una situazione completamente imprevista, che lo sveglierà da quel torpore, rendendolo ora un protagonista terrorizzato della sua vita.
Il monologo finale di Paranoid Park
Questo è il monologo finale tratto dal film Paranoid Park (Gus Van Sant, 2007), una lettera letta a mente a un amico immaginario:
“Un centinaio di pagine, e nella mia grafia minuta. Adesso è finita, o quasi. Mi rende triste concluderla. Comunque avevi ragione. Ogni pagina che ho scritto è stata come un peso che mi sono tolto dalle spalle. Quando prendi il ritmo, scrivere è come parlare al tuo migliore amico, con la differenza che non possono interromperti o dirti quanto sei scemo.
Per quanto riguarda quello che farò… chi lo sa? Ci sono ancora dei giorni in cui mi aspetto che Lui si presenti alla mia porta con le manette. Altre volte, voglio andare da solo a una centrale di polizia per confessare tutto. Vorrei fidarmi di più delle persone. Vorrei avere più fiducia nelle cose.
D’altronde perché tentare la sorte? Non è che gli adulti facciano sempre la cosa giusta. Fanno ancora più stronzate dei ragazzi. Almeno noi sappiamo quanto siamo stronzi. Oh, sì, e dato che so che questa è la conclusione, immagino di poter dire un’altra cosa: penso che mi piaci.
Lo so. Non è una cosa ridicola? E talmente scontata. Nell’istante in cui ho smesso di piacerti, tu hai cominciato a piacermi. Okay, Macy. Ora è tardi e devo fermarmi. Grazie per avermi tenuto compagnia. Grazie per un sacco di cose.“