Siamo in Francia, a Parigi, nel cuore della Ville Lumière con le sue luci scintillanti e i suoi ristoranti per eccellenza. Mai mai prima d’ora la figura di un semplice ratto, archetipo narrativo, fiabesco e cinematografico, aveva trovato una collocazione così speciale: un topo visionario che sogna di diventare chef a Parigi!
Eppure, come ricorda più volte lo stesso fantasma del celeberrimo Gusteau, cuoco rinomato, chiunque può imparare a cucinare. Chiunque ha capacità di sognare, si legge tra le righe. E il nostro eroe è un topino intraprendente, curioso, diverso dagli altri della sua specie e della sua famiglia. È un ratto che vuole apprendere, che vuole conoscere, vivere e non sopravvivere.
Creare meraviglie in cucina
Eccolo volteggiare tra la campagna e le case degli essere umani che hanno tanto cibo e sanno loro come utilizzarlo, loro, a differenza dei topi che si accontentano degli avanzi. È così che impara osservando – direttamente dalla tv, dal programma del cuoco più famoso – come utilizzare e abbinare gli ingredienti, come creare delle meraviglie in cucina.
L’occasione, per chi ha coraggio e volontà, arriva sempre, e anche Remy – grazie all’alter ego umano Linguini, semplice sguattero, ultimo anche lui tra gli ultimi – riesce ad approdare al sogno mai sognato prima da un topo. Riesce a realizzare la massima di Gusteau e convincere anche il più severo e pedante dei critici.
Ratatouille tra reminiscenze proustiane e lezioni di poesia
La figura esile, delicata e tenera di Remy, con quel suo nome familiare, di antica memoria narrativa, ci fa sognare con i suoi movimenti divertenti ma precisi e i suoi immensi occhioni nel grandioso film d’animazione Ratatouille (Brad Bird, 2007).
Ci ricorda che il sogno è per tutti. Ci fa rivivere attraverso il déjà vu e le reminiscenze proustiane frammenti di infanzia, in un viaggio nel tempo senza tempo della memoria, una lezione di pura poesia.