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Rosebud, l’enigma di Quarto Potere

Dal 1941, anno della sua realizzazione, Quarto Potere (Citizen Kane) viene considerato il padre di tutti i film, il cosiddetto film perfetto. Con la monumentale opera diretta e interpretata da Orson Welles, il pubblico affronta tuttora uno dei più noti enigmi cinematografici: il significato di “Rosebud”, l’ultima parola pronunciata da Charles Foster Kane prima di morire tra le mura della sua sfarzosa dimora.

Kane è un magnate della stampa americano, che nella vita sembra aver conquistato qualsiasi ricchezza o potere desiderasse, ma che è morto nella più completa solitudine. La narrazione inizia dalla sua morte, per poi retrocedere tramite l’inchiesta del giornalista Thompson, che intervista tutte le persone vicine a Kane: la storia viene costruita a incastro con una serie di flashback e flashforward.

Tuttavia, nessuna delle persone intervistate riesce a risolvere l’enigma post portem di “Rosebud”. La risoluzione, infatti, avverrà solo tramite l’istanza narrante.

L’infanzia di Kane e il suo slittino

La macchina da presa, in un epilogo speculare al prologo, ci mostra la scritta “Rosebud” su uno slittino proveniente dall’infanzia di Kane.

Quand’egli era bambino, sua madre aveva affidato la sua crescita al banchiere Tatcher, rendendolo di fatto orfano. Kane, nel momento della separazione dai suoi genitori, stava giocando proprio con lo slittino che vediamo nell’ultima scena, per poi usarlo per colpire Tatcher.

Orson Welles ci prende in giro, mostrando solo allo spettatore qualcosa di Kane che già sa, ma che nessun personaggio saprà mai, così come nessun personaggio si è mai davvero immerso nella psiche di Kane.

Lo stesso Kane si è reso inarrivabile: ritenuto una divinità in tutti gli Stati Uniti d’America, è diventato un fantasma, vittima dell’equivoca autenticità dei suoi desideri. Ha trascorso un’intera vita a scalare un monte, obiettivo dopo obiettivo, perdendo qualunque forma di amore intorno a sé (amore a cui aveva imparato a rinunciare sin da bambino).

Rosebud rappresenta la sua più grande ferita, dalla quale si è sviluppato il suo genio, ma anche l’ultimo sprazzo di trasparenza della sua vita. Negli occhi grandi di Kane, inseriti in un viso glaciale, nell’attimo finale riusciamo a cogliere la voragine della sua interiorità.

Persino l’uomo più potente d’America non è riuscito a rinfacciarsi con i propri demoni, portando con sé le stesse mancanze che possiede il suo Paese: il feroce materialismo e il terrore verso la vulnerabilità e l’introspezione.

Velia Bianconi

Sono Velia, studentessa fuorisede di 19 anni del DAMS. Amante della scrittura in tutte le sue forme e aspirante sceneggiatrice, guardo il mondo con la stessa curiosità e fame di un bambino.
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