Mia madre non è solo il titolo di un film, vero, toccante, profondo come il fare cinema di un Nanni Moretti sempre “sul pezzo”: due parole evocative che scavano nei ricordi di molti in relazione a una figura – quella materna – ammantata di accezioni sacre quanto durature.
Per tale motivo la sua rappresentazione non può esulare dalla dignità della messa in scena. Basilare, dunque, inscriverla entro i confini di un’inquadratura solenne, che la faccia risaltare senza, perciò, confonderla con il circostante. Moretti si misura nella sua pellicola inequivocabilmente intimista (e autobiografica) con la tragicità di un lutto che passa da una sala d’ospedale e da una degenza lenta, disgraziata, impassibile al miracolo.
Lo smarrimento di Ada, lo sconforto di Margherita
Il deperimento fisico dell’anziana signora, diacronico rispetto all’integrità intellettuale, getta nello sconforto – inevitabile – i due figli Giovanni (Nanni Moretti) e Margherita (una sempre in parte Margherita Buy), nonché la giovanissima nipote Livia, sulla quale la morente Ada (la straordinaria Giulia Lazzarini) ha un forte ascendente in qualità di nonna saggia e sapiente.
Quando Margherita deve suo malgrado arrendersi all’evidenza, lo fa senza però cedere immediatamente alla rassegnazione ma, al contrario, spronando ostinatamente la madre a reagire alla malattia, ovviamente senza successo.
Dal suo letto, Ada esprime rammarico, smarrimento per la propria condizione non ancora ben compresa, schiacciata soprattutto dall’impotenza, uno status che crea un’insormontabile barriera fra lei e il mondo o, più semplicemente, fra lei e il bagno.
E’ quella la distanza che mette definitivamente in crisi la già ansiosa e frustrata Margherita: pochi passi separano la madre dall’assolvimento di un bisogno, ma il corpo non glielo permette e neanche gli strattoni un po’ bruschi e tanto disperati della figlia vincono la resistenza della vita che la sta inesorabilmente abbandonando.
Un commovente gesto di affetto prima dell’addio
Le due donne assorbono il reciproco dolore lasciandosi andare a un abbraccio che carica ogni occhio lo contempli di lacrime, o quanto meno di un lucido schermo fatto di acqua e sale, un composto che viene da dentro, che giunge dal cuore. Al di fuori di quel commovente gesto di affetto, nulla conta più. L’addio prende il sopravvento.