Si può decidere di lasciare la propria compagna di vita dopo tanti anni di unione anche se la si ama ancora? Alla base di questo apparente paradosso c’è una risposta plausibile: sì, può accadere se all’amore non fa seguito la felicità, il fine ultimo, la ragione di un’intera esistenza. Come dire: non è mai troppo tardi per ricominciare, voltare pagina e trovare una seconda strada.
Nonostante le tante primavere, nonostante un lungo, lunghissimo passato di coppia, un figlio, la tranquillità economica e tutto il resto, qualcosa si rompe nel rapporto fra Edward (Bill Nighy) e sua moglie Grace (Annette Bening). Alla vigilia del 29° anniversario di matrimonio, lui ha deciso di dire basta perché consapevole che in fondo e nel profondo non è mai stato veramente felice con quella donna.
Il messaggio de Le cose che non ti ho detto (William Nicholson, 2019) è eloquente: l’infelicità non deve essere una condanna ma un motivo per cambiare rotta, imboccare una direzione che inverta la monotonia e renda tutto nuovamente speciale. Edward lo rivela al figlio Jamie, non lo fa a cuor leggero ma sa che deve farlo. L’incompatibilità tra due persone prima o poi emerge e non è sufficiente nasconderla in una dimensione d’amore soltanto illusiva, nel caso specifico la placida atmosfera del piccolo paese costiero di Seaford e le Seven Sisters.
Crediamo che le relazioni durino per sempre e debbano essere giustificate dal tempo ormai andato, carico di memorie e ricordi. Tuttavia, Edward non intende rassegnarsi all’etichetta impostagli dalla senilità. Vuole tornare a vivere in un’altra storia, nel cuore di un’altra donna… e quella donna deve assolutamente dimostrarsi diversa da sua moglie, perché di Grace ne esiste solo una e rappresenta qualcosa di esclusivo e impenetrabile.
Un senso difficile da comprendere: l’aneddoto di Edward
Ecco ripalesarsi il paradosso che sfogia nel sillogismo mancato che lega tre parole: amore, felicità, continuità. Ed è proprio Jamie a non capire il senso di quanto sta accadendo fra i due genitori. Ci pensa Edward a fare chiarezza attraverso un aneddoto il cui sapore attraversa le corde del romanticismo, della nostalgia e del malinconico viatico, il bagaglio della vita.
Sentendosi messo in discussione (cosa in realtà non vera) non solo come “marito degenere” ma anche come “sciagurata figura paterna”, egli racconta qualcosa di potente ed eterno, in sé vividamente poetico.
“30 anni fa ero alla stazione di Cheryl Cross in attesa di un treno per Tonbridge, e vidi camminare lungo la pensilina un uomo che sembrava mio padre. Alzai un braccio e chiamai ‘Papà’… e col braccio ancora in aria mi ricordai che mio padre era morto 4 mesi prima. L’uomo, del tutto estraneo, continuò a camminare. Il treno alla fine arrivò. Salii in carrozza e il treno lasciò Cheryl Cross. L’altra persona su quella carrozza era una giovane donna, mi guardava come se fosse dispiaciuta per me. Mi resi conto che avevo delle lacrime sulle guance: ‘ Che cosa c’è’ – mi domandò – ‘Niente’ – dissi – ‘Ho scambiato un uomo per mio padre che invece è morto.’ E lei disse ‘Deve desiderare proprio tanto rivederlo’.
Mio padre era un uomo riservato, non ricordo che mi abbia mai abbracciato. In qualche modo quando quella giovane donna mi disse quelle parole, capii che per tutta la vita avevo aspettato quell’abbraccio e che ora non sarebbe più arrivato. Cominciai a piangere… continuai a piangere, per meglio dire… e la giovane donna recitò alcune righe di una poesia che non avevo mai sentito e non ho più dimenticato da allora:
‘Aspettami là perché io non mancherò,
in quella cupa valle io ti raggiungerò.
Non preoccuparti, mi avrai vicino,
sono in ritardo ma già in cammino.’
Una poesia di Henry King per la morte dell’amata moglie. Come sapeva quella donna sul treno cosa stavo provando? Era tua madre!”