Si dice che la ricchezza materiale di un individuo si rifletta nello stile e nella grandezza della propria dimora, utilizzata come rifugio, gioiello da sfoggiare in ogni occasione per stupire gli ospiti.
Tra i tanti eccessi del magnate della stampa più facoltoso d’America (e forse del mondo) Charles Foster Kane, protagonista di Quarto Potere (Orson Welles, 1941), c’è l’immensa casa in cui perdersi ed esiliarsi.
Xanadu, un patrimonio immobile dal valore incalcolabile
Fatta costruire da Kane sulla sommità di una collina, affacciata sulla costa del Deserto del Golfo in Florida, la sfarzosa Xanadu rappresenta il più significativo patrimonio immobile del pianeta, di cui nessuno conosce il reale costo di realizzazione e il valore effettivo, che si dice essere incalcolabile.
Prende il nome dall’antica città mongola fatta edificare nel 1271 da Kubilai Khan, imperatore della Cina in quel periodo, e descritta dall’esploratore Marco Polo nella sua opera Il Milione. Kane fa costruire questa magnificenza architettonica per compiacere la sua seconda moglie, Susan Alexander, che in seguito arriva però a considerare Xanadu una prigione dorata dalla quale fuggire.
Una casa immensa
Chiamarla casa ha semplicemente del ridicolo, dato che parliamo di un domicilio che, tenuto conto dell’ambiente esterno, comprende 49.000 acri (per intenderci, ca. 200 kmq), 100 mila alberi e 20 mila tonnellate di marmo. Kane si circonda di opere d’arte originali, statue, dipinti, sculture in numero tale da riempire almeno dieci musei.
Non pago, questo ricchissimo individuo vanta nella sua tenuta un enorme giardino zoologico con ogni sorta di animale e un campo da golf, il tutto entro un recinto di metallo invalicabile. Oggetti, decorazioni e monili riempiono solo apparentemente un incolmabile vuoto interiore che costituisce l’insieme delle irrecuperabili mancanze subite da Charles in età infantile e adolescenziale.
La tristezza dei ricordi in un labirinto di solitudine
La solitudine evidente dell’uomo permea ogni stanza della residenza il cui arredamento, sebbene costoso e ricercato, non nasconde palese freddezza e dispersione. S’apre un dedalo di corridoi, camere, sale, un labirinto dove è fin troppo facile smarrirsi. Nel suo disperato tentativo di meravigliare sempre e comunque, Kane esorcizza vanamente la tristezza dei propri ricordi e il distacco prematuro dagli affetti e dalle cose a lui più care.
Il suo atteggiamento, visto dai più come un’ostentazione spasmodica, quasi patologica del suo potere, coincide invece con la consapevolezza dell’intima miseria, non compatibile con l’ostilità di un mondo superbo e arrivista dal quale l’uomo è ormai stato assorbito senza speranza di redenzione, esposto irrimediabilmente alle ombre dell’inevitabile declino.