Titolo originale: Chevalier
Regia: Athina Rachel Tsangari
Sceneggiatura: Efthimis Filippou, Athina Rachel Tsangari
Cast: Yiorgos Kendros, Panos Koronis, Vangelis Mourikis, Makis Papadimitriou
Musiche: Ian Hassett, Athina Rachel Tsangari
Produzione: Grecia, Germania 2015
Genere: Drammatico
Durata: 105 minuti
Trama
A bordo di uno yacht nel mar Egeo, sei uomini passano le giornate a sfidarsi in giochi d’intelligenza e di società. La noia li spinge ad alzare la posta in palio: chiunque tra loro risulterà il migliore in assoluto, e non limitatamente a specifici giochi o qualità, di ritorno ad Atene riceverà un anello con un sigillo di Chevalier, a sancire la propria supremazia sugli altri.
Per stabilire il vincitore di una competizione così totalizzante, sono necessarie regole totalizzanti: ecco che tutto diventa quindi giudicabile ai fini della gara, dal modo di cucinare a quello di pulire o addirittura dormire. Presto la situazione degenera e i sei amici, o presunti tali, non si faranno scrupoli a ingegnarsi per mettere sempre più in difficoltà gli altri.
Recensione
Se si chiedesse a qualcuno di immaginare un referente fisico del benessere, che immediatamente rinviasse a uno stile di vita figlio del capitalismo, è probabile che uno yacht di lusso sarebbe la prima cosa che verrebbe in mente a molti. Se c’è uno stato d’animo associato alla borghesia da secoli di tradizione culturale, quello è senz’altro la noia.
Partendo da questi due topoi, Athina Rachel Tsangari costruisce un film che si pone a metà tra la commedia satirica e lo studio sociologico, senza eccedere né nell’uno né nell’altro senso. Il collante tra le due estremità è dato dall’elemento grottesco, tanto più forte quanto più nascosto dalla misura con cui la vicenda si svolge – supportata da una fotografia essenziale ma sicura di quel che vuole raccontare – senza forzare stranezze o eventi inverosimili.
L’effetto comico è dato dalla serietà affatto eccessiva con cui gli uomini si fronteggiano in prove per l’appunto ridicole. Ma risultano ridicole, di converso, proprio in virtù dell’insignificanza delle attività che sono scelte come terreno di prova. Insomma, chi è che darebbe importanza a un’attività tanto comune e inutile – cioè non finalizzata all’ottenimento di un utile – come dormire? Gli amici, analizzando e valutando la postura assunta durante il sonno da uno di loro, conferiscono “valore di mercato” perfino a un’attività così banale, suscitando il sorriso dello spettatore.
Eppure è un sorriso amaro, di scherno, perché Tsangari fa di tutto per rendere odiosi i suoi personaggi. Il loro machismo esasperato, anch’esso ridicolo nel contrasto con la mediocrità fisica che li caratterizza, ce li fa presto disprezzare, e il loro elitarismo li rende disgustosi. L’unico tra i sei a non essere ossessionato dal dover apparire “uomo” – il suo aspetto grassoccio e i suoi modi infantili vogliono ricordare infatti un “bambinone” – è trattato dagli altri come un’anomalia per certi versi inferiore , nonostante le sue spiccate doti intellettive e la gentilezza che mostra loro.
La regista fissa il suo e il nostro occhio proprio sulla mascolinità come terreno principe di competizione. Serpeggiano nel gruppo sospetti, illazioni e delazioni, sempre col fine di screditare l’altro e metterne in dubbio la potenza sessuale, condizione necessaria (ma non sufficiente) a non essere esclusi dalla gara.
E il nostro sorriso non può allora che essere mesto, perché l’assurdità che c’è su quello yacht non ci sembra così distante da quella nella nostra società.
Curiosità
Il film è stato candidato tra gli altri al Festival di Locarno, ottenendo una nomination al Leopardo d’Oro.