- Cinema e divano

Generazione romantica

Dove vederlo: Al cinema

Titolo originale: Feng liu yi dai

Regia: Jia Zhangke

Sceneggiatura: Jia Zhangke, Jiahuan Wan

Cast: Zhao Tao, Li Zhubin, Zhou You, Changchu Xu

Musiche: Giong Lim

Produzione: Cina 2024

Genere: Drammatico

Durata: 111 minuti

Trailer

   

 

Trama

2001. Qiao Qiao (Zhao Tao) è una giovane ragazza che vive a Datong, nel nord della Cina, dove tenta di sbarcare il lunario esibendosi come cantante nel club gestito dal fidanzato Bin (Li Zhubin). Spinto dai grandi cambiamenti socio-economici del Paese, Bin parte per andare a cercare fortuna altrove, e lascia Qiao Qiao a Datong, con la promessa che tornerà a prenderla quando avrà il denaro.

Tempo dopo, Qiao Qiao decide di andare a cercarlo, e intraprende un viaggio personale che culminerà nel 2022, in una Cina ormai completamente mutata.

Recensione

Per chi avesse avuto il piacere di vedere Grand tour, la prima cosa che balza all’occhio di Generazione romantica è una certa somiglianza con la pellicola di Michel Gomes. Lo stesso impianto narrativo – una donna che si mette sulle tracce del fidanzato sfuggente, lì attraverso la penisola indiana agli inizi del XX secolo, qui nella Cina agli albori del nuovo millennio – permette a entrambi i registi di addentrarsi in riflessioni più profonde.

Laddove però l’interesse di Gomes era rivolto principalmente a un’indagine di tipo filosofico della natura umana, per la quale i luoghi toccati dai personaggi erano più un supporto per l’analisi di questi ultimi che l’oggetto stesso dell’indagine, la protagonista del film di Zhangke è proprio la Cina, e l’esile storia d’amore tra i due protagonisti un’impalcatura su cui ha costruito un magnifico affresco del Paese.

Forse più che a un affresco, Generazione romantica somiglia a un pastiche, nella sua accezione più nobile e compiuta. Le riprese del film, così come gli eventi narrati, coprono un periodo di più di vent’anni, dagli inizi del XXI secolo fino alla pandemia di Covid, e la particolarità sta nel fatto che buona parte del materiale usato proviene da progetti precedenti, editi e inediti. Tra questi, un film poi mai realizzato, il cui titolo avrebbe dovuto essere L’uomo con la fotocamera digitale, che nasceva come una cronaca che Zhangke voleva fare della Cina a cavallo tra i due millenni.

Le parti girate originariamente per quel progetto, oltre che per l’evidente scarto qualitativo dell’immagine rispetto al resto del film, sono facilmente individuabili per il loro taglio documentaristico. Un esempio c’è proprio all’inizio: la camera indugia per diversi minuti su un gruppo di donne, che in un momento di relax si lasciano andare a canti e confidenze, in un clima d’allegria e serenità assolute. Subito dopo, un altro piano sequenza, di più moderna realizzazione, vaga tra i volti silenziosi di un gruppo di operai in pausa.

La dialettica che si crea tra queste due scene consecutive sintetizza uno dei temi fondamentali che il regista ha voluto affrontare, ossia il differente ruolo di uomini e donne all’interno della società cinese: i primi assiepati sui gradoni di un edificio pubblico, le seconde stipate in una casa. Ma a emergere è anche il differente approccio nelle interazioni sociali: mentre le donne, forse proprio in virtù di questo loro stare in disparte rispetto ai cambiamenti sociali, mantengono una vitalità e una freschezza molto spontanee, gli uomini, costretti a un costante confronto con gli altri e pressati dallo spauracchio del successo, diventano taciturni, schivi, ombrosi.

Con l’avvento della pandemia, poi, considerata da Zhangke uno spartiacque nella storia cinese al pari della seconda guerra mondiale, i rapporti non possono che farsi ancora più evanescenti, e a farne le spese sembrano essere soprattutto gli uomini, stretti ancora di più dentro recinti di solitudine e incomunicabilità.

Questa dinamica è espressa in modo lampante nella sezione finale, ambientata nel 2022, in cui Qiao e Bin si rincontrano a Datong, e sembra che il tempo per loro abbia corso a velocità diverse: lui appare molto invecchiato, fatica persino a camminare; per lei, dietro la tristezza degli occhi, sembra che non sia trascorso neanche un giorno, nonostante i continui sballottamenti a cui è stata sottoposta dai sommovimenti – le “onde” del titolo inglese – agitanti la società cinese.

L’altro grande tema affrontato è, come detto, proprio quello delle profonde mutazioni subite dalla Cina nell’ultimo quarto di secolo. Esemplificativa in tal senso è la vicenda della contea Fengjie, stravolta per costruire l’enorme diga delle Tre Gole sul fiume Azzurro. Attraverso scene filmate nel corso di più di un decennio, Zhangke ci mostra tutte le fasi salienti della trasformazione dell’area, dalla partenza forzosa degli abitanti alla costruzione di centrali idroelettriche, passando per la demolizione dei villaggi.

Il progresso ha spazzato via tutto, e lo spirito rurale del luogo può sopravvivere ormai solo in un museo, così come la Cina di vent’anni fa può essere riesumata solo da vecchi filmati impolverati. E anche se “la Cina è lontana”, guardando quelle donne non possiamo non provare anche noi una strana nostalgia per «l’orgoglio di fantastiche operaie» che cantava Franco Battiato in Radio Varsavia.

Curiosità

Il titolo inglese è “Caught by the Tides”.

Edoardo Cenciarelli

Romano di Roma, sono laureato in Filologia moderna. Rimasi folgorato sulla via dello schermo piccolissimo, senza neanche rendermene conto, quando vidi Stanlio e Ollio fare a pezzi un appartamento per consegnare una pianola.
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