Dove vederlo: Al cinema
Titolo originale: Der Kuss des Grashüpfers
Regia e sceneggiatura: Elmar Imanov
Cast: Lenn Kudrjawizki, Sophie Mousel, Michael Hanemann, Michael Stange
Musiche: Kyan Bayani
Produzione: Germania, Lussemburgo, Italia 2025
Genere: Drammatico
Durata: 128 minuti
Crediti foto: © Borris Kehl – COLOR OF MAY
Trama
Il mondo ermetico di Bernard (Lenn Kudrjawizki) – permeato da eccentricità, abitudini draconiane e una continua ricerca del senso della vita in compagnia dell’affezionata pecora Fiete – si rompe quando l’uomo scopre la malattia del padre. Inizia un viaggio molto personale e alienato nel labirinto dell’esistenza, in cui la tristezza diventa condizione essenziale, contraltare della felicità a tutti i costi.
Recensione
La cavalletta, ovvero il superamento di una paura. Il bacio, l’accettazione, un atto che può cambiare tutto, anche l’approccio alla vita stessa. Il rapporto col padre, unica vera relazione umana e sociale che tiene sul filo dell’apparente equilibrio la vita di Bernard, un solitario scrittore con tendenze ossessivo-compulsive. Un rapporto difficile, quello con Agata, causa di quella solitudine che sembra seguirlo ovunque come un’ombra.
Elmar Imanov, giovane talento di Baku, scrive e dirige un dramma in cui tutto ciò è elaborato attraverso immagini potenti e suggestive, che lasciano nelle mani dello spettatore un significato che pretende di essere riempito soggettivamente, colpevole però di essere ai limiti del simbolico. Il titolo richiama un’impression visiva (presente in una scena del film) che ha ispirato il regista in un periodo piuttosto buio della sua vita, quando si è trovato a fronteggiare una difficoltà terribile e improvvisa.
Un dettaglio fuggevole irrotto nella routine, un vezzo distratto della vita che manifesta se stessa. Questo elemento dionisiaco è alla base della storia, e tutto ciò che ne deriva ne rappresenta il fantasma che il regista cerca di esorcizzare. Imanov pare sussurrarci dalle immagini poetiche – seppur caratterizzate da una lentezza troppo inerme e silenziosa – che da eventi simili possono arrivare dei cambiamenti inaspettati. Del resto, la vita è piena di
sfide e battaglie interiori da affrontare.
Ancora più forte è l’impatto quando accade a qualcuno che ha fatto dell’ordine e dell’equilibrio la colonna sonora della propria vita. È questa la peculiarità di Bernard, eroe tragico la cui altra caratteristica principale si presenta a noi sin dai primi minuti: è un uomo solo. Il silenzio regna sovrano nelle prime scene, e il primo contatto che lui ha è proprio quello col padre\mentore.
Viene attratto da una solitudine che emerge dallo spazio, dai tratti spigolosi e freddi degli interni, dei luoghi che pian piano diventano i luoghi dell’anima, del sé. Scaturisce inoltre dalla fotografia, desaturata, onirica, che gioca con i chiaroscuri contrastati e intensi, i quali finiscono per schiacciare il protagonista sempre di più nei suoi spazi interiori, dove risiedono i traumi, così da essere costretto a fronteggiare i suoi demoni e scacciarli.
In fin dei conti il bacio della cavalletta per Imanov è l’elisir – direbbe Christopher Vogler – che l’eroe ha bisogno di rubare per compiere il suo viaggio. Bisogna apprezzare il legame con gli altri, imparare ad amare e lasciar andare. Importante è ancora il lavoro sullo spazio, come la relazione che vi si instaura col corpo del personaggio, composto da luoghi della mente, oscuri, privi di riferimenti, estranianti, confusi.
Il lavoro importante da parte degli scenografi e del direttore della fotografia dona al film un’aura cupa e plumbea attraverso i bui, i silenzi dei colori, delle mura fredde, morte, degli spazi vuoti, quelli lasciati stare. Una visione complessiva che compensa il tratto intimo (molto forte) con quello narrativo e in generale della presa sullo spettatore (piuttosto debole), che finisce per trasformarsi in un viaggio dentro di sè, culminante nella stupefacente soggettiva finale.
Lo stile visuale di Imanov è sapiente e immaturo, anche se nella sua miopia narrativa il regista dimostra di conoscere il mezzo cinematografico e le sue modalità espressive. Una storia personale che emerge visivamente in modo troppo intimo, lasciandoci soltanto la possibilità di un’interpretazione sfocata. Le immagini e le scene evocative penetrano ma isolate, non trovano il loro posto in un disegno generale scarno, solcato da segni di cinefilìa ben applicati ma non comunicanti.
Curiosità
Il bacio della cavalletta è quasi un’autobiografia del regista, che si è trovato ad affrontare la malattia del padre, un tumore che se lo è portato via dopo pochi mesi. Scrivere la sceneggiatura e metterla su pellicola ha significato la svolta, la catarsi in grado di salvarlo e approcciarlo alla vita in modo diverso e inedito.