Titolo originale: Where the Crawdads Sing
Regia: Olivia Newman
Sceneggiatura: Lucy Alibar
Cast: Daisy Edgar-Jones, Taylor John Smith, Harris Dickinson, David Strathairn
Musiche: Mychael Danna
Produzione: USA 2022
Genere: Drammatico
Durata: 125 minuti
Trama
Carolina del Nord. Un giovane della classe benestante, Chase Andrews (Harris Dickinson), viene ritrovato morto ai piedi di una torretta di osservazione nell’hinterland selvaggio di Barkley Cove. Gli abitanti della cittadina hanno già puntato il dito su quella che ritengono essere la colpevole, Kya Clark (Daisy Edgar-Jones), soprannominata “la ragazza della palude“.
Arrestata e messa sotto processo, Kya ripercorre la propria vita, passata in solitudine dopo essere stata abbandonata dalla madre e dai fratelli, in fuga da un padre sempre ubriaco e molesto. Gli unici a sostenerla – il coetaneo Tate (Taylor John Smith), una coppia di maturi afroamericani e l’avvocato Tom Milton (David Strathairn) – restano convinti della sua innocenza.
Recensione
La ragazza della palude è prima di tutto un romanzo che Delia Owens ha scritto per raccontare il rapporto utopico e commovente fra un’adolescente e una natura all’apparenza selvaggia, chiamata a far le veci di una madre amorevole rivelandosi ben più affettuosa di quanto ci si possa aspettare.
Un legame di adozione, facile a trasformarsi in puro animismo, unica religione del cuore che una creatura sensibile come Kya possa veramente abbracciare e sposare. Uccelli, specie avifaunistiche, giunchi, pesci, alberi: ecco i parenti protettivi in grado platonicamente di difendere una Mowgli al femminile, main character dell’adattamento cinematografico diretto da Olivia Newman.
In effetti, soltanto una regista donna poteva dimostrarsi veramente capace di rendere per immagini e dialoghi la profondità di un personaggio come Kya, sorprendente sintesi di meraviglia, gentilezza, innocenza e curiosità. La ragazza della palude rientra chiaramente nei confini della favola, con le sue inverosimiglianze, i sogni, i puzzle perfetti e un ottimismo di fondo che, per fortuna, non stucca e, anzi, pare molto contrastato da serie difficoltà generatrici di empatia nei confronti della protagonista.
È una pellicola che insiste con ragione sui concetti di emarginazione e isolamento, sottolineando la sfuggevolezza di tutti quei diritti considerati sacrosanti dall’odierna società, l’educazione, lo studio, l’igiene, la casa. Nel contesto definito dal best-seller della Owens (12 milioni le copie vendute ad oggi) e poi dalla trasposizione della Newman, Kya quei diritti li riscatta nell’assolutismo del proprio eremitaggio, imparando ad ascoltare prima i suoni puri nel silenzio dei canneti e degli acquitrini, e solo dopo le parole degli esseri umani.
Ma quella di Kya è parimenti una storia che non si autorisolve esigendo fatica e sacrifici, segnata da un feroce antropocentrismo, dalla violenza paterna e machista, dall’inganno perpetrato da false figure amiche. Un condensato ben lontano dal buonismo forzato, amaro in molteplici segmenti narrativi seppur edificante in altri. Il dramma di formazione e il legal movie arrivano a intrecciarsi tramite flashback che tessono un racconto a ritroso sebbene sussultorio per lasciare lo spazio lecito al presente in aula.
Sublima un midollo thriller mai invasivo, anzi riverente al passaggio delle riflessioni incensate di amore e fresco esistenzialismo. Daisy Edgar-Jones, affine più alle serie televisive che al cinema, dà prova di equilibrio e bravura, pronta a padroneggiare sentimenti come la rabbia, la dolcezza e la delusione.
Curiosità
La canzone “Carolina” di Taylor Swift è stata candidata ai Golden Globes.