Titolo originale: Samsara
Regia: Lois Patiño
Sceneggiatura: Lois Patiño, Garbiñe Ortega
Cast: Amid Keomany, Simone Milavanh, Mariam Vuaa Mtego, Juwairiya Idrisa Uwesu
Musiche: Xabier Erkizia
Produzione: Spagna 2023
Genere: Documentario
Durata: 113 minuti
Festival di Berlino: Premio Speciale della Giuria
Trama
Samsara é la nuova opera del regista galiziano Lois Patiño che affronta il tema della reincarnazione nel buddismo tibetano, seguendo il trapasso di un’anima da un corpo all’altro.
Recensione
Con il termine “Samsara” viene indicato nelle religioni dell’India lo scorrere inarrestabile della vita, come se fosse un corso d’acqua che nella sua apparente delicatezza, continua imperterrito a fluire. La continuazione è data dalla reincarnazione: la vita è raffigurata come una ruota e indica il ciclo continuo di morte e rinascita.
Lois Patiño intitola così il proprio film, e Samsara ci permette di accompagnare interattivamente un’anima nel suo viaggio da un corpo al successivo. Presentato alla 73ma edizione della Berlinale, sezione Encounters, la pellicola si mostra come a cavallo tra una visione documentaristica e sperimentale cimentandosi, con una narrazione tra l’altro lineare, in escamotage che sfociano nell’artistico, le innumerevoli sovraimpressioni o i paesaggi che sembrano grandi tele su cui gli umani sono parte dell’intero disegno.
Il film è diviso in due parti, ognuna delle quali ambientata in un posto diverso. Anche i direttori della fotografia sono differenti: Mauro Herce per il Laos e Jessica Sarah Rinland per la Tanzania.
Nel primo caso seguiamo le vicende di un ragazzo che ogni giorno attraversa un fiume per andare a leggere a un’anziana donna il Libro tibetano dei morti, il tutto accompagnato da meravigliosi sfondi. La maggior parte degli ambienti si compone di incantevoli fonti d’acqua, da sempre l’elemento simbolo della vita. Molte delle sovraimpressioni sono formate da immagini di onde, probabilmente sognate dai protagonisti o avvertite dentro di loro.
L’anziana donna si fa “addestrare” alla morte dalle parole del libro, preparandosi a dire addio a tutto e a migrare in un altro corpo. Nel momento del trapasso, il ragazzo annuncia alla donna e a noi spettatori che la accompagneremo per i primi passi in questo nuovo viaggio. Qui inizia il ‘bardo’, fase intermedia che intercorre tra morte e rinascita, in cui percorriamo il passaggio insieme all’anima stessa, lasciandoci guidare solo dal suono e da uno schermo nero che si alterna a lampi di colori, percepiti a palpebre chiuse.
Inevitabilmente, ogni spettatore conserverà in sé una visione diversa di tale sequenza, di cui non sono complici immagini ma l’immaginazione, accompagnata dalla musica in sottofondo. Successivamente si sentiranno anche voci apparentemente scollegate: un coro di donne che intonano il Credo cristiano, una bambina che chiede di Gesù bambino, voci sparse indecifrabili.
Dopo questo viaggio di 15 minuti veniamo catapultati in Tanzania, in un villaggio musulmano. Una bambina si sveglia e assiste alla nascita di un capretto, a cui si affezionerà molto. Il capretto si perderà nell’ultima enigmatica inquadratura, senza che ci vengano dati indizi sulla sorte di quest’ultimo.
Si nota fortemente la presenza di una grande diversità culturale tra i due posti, soprattutto religiosa. Il regista, in effetti, affronta più religioni come se fossero tutte unite da un unico principio, quello dell’irraccontabile, senza sceglierne una ma abbracciandole tutte, in una sorta di equo politeismo romantico.
Curiosità
Fin dall’inizio, incide positivamente la decisione di aver utilizzato una pellicola 16mm un pò sbiadita, così da rendere ciò che ci viene mostrato quasi un ricordo, o comunque una realtà che, pur essendo profondamente concreta, possiede qualcosa di indecifrabile.