“Uno che faceva un censimento una volta tentò di interrogarmi: mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti!”
Nel pronunciare l’inquietante e abominevole frase, il dr. Hannibal Lecter – meglio conosciuto come Hannibal the Cannibal – non solo esprimeva la propria macabra e malata predilezione per la carne umana, ma in aggiunta dava voce a una naturale, colta vocazione per la materia enologica. In questo caso non per un sovrarraffinato nettare francese, né un prodotto di vigna ibrida statunitense. Semplicemente e inevitabilmente un vino italiano, in particolare da terroir toscano.
In tanti si saranno chiesti a quale Chianti si riferiva, dal momento che l’aggettivo “buono” può liberamente qualificare diverse tipologie, livelli e scale di grado inerenti al più rappresentativo rosso della regione con capoluogo Firenze (dove peraltro è ambientato il sequel de Il silenzio degli innocenti, e cioé l’Hannibal diretto da Ridley Scott).
Non ci sarà mai dato sapere quale bottiglia e quale annata si sono riversate nel calice (a tulipano) del famelico psichiatra interpretato da Anthony Hopkins. Posso dire cosa ho scelto io per una cena in compagnia di amici nel raccoglimento di casa: un Chianti Riserva 2018 Villa Montorsoli.
Vinificazione di una DOCG Riserva
Prodotto e imbottigliato dalla società agricola Fattoria Oliveto S.p.A. di Castelfiorentino (FI), il Chianti in questione si compone per il 70% di uve Sangiovese, vitigno predominante in Toscana.
Il marchio DOCG fa immediatamente pensare ai valori di qualità ed eccellenza, tuttavia questo acronimo è spesso e volentieri fuorviante nei discorsi dei neofiti, poiché le quattro lettere maiuscole non fanno da sole la felicità di un vino bensì tanti altri fattori decisivi.
Il 2018 scelto ha il carattere di Riserva, quindi con un invecchiamento di almeno due anni, un punto assai rilevante nel circuito dei Chianti. Da una vendemmia avvenuta a metà settembre, è il risultato di un mosto fermentato in tini di cemento e acciaio grazie all’ausilio di lieviti selezionati, e di una macerazione lunga a temperatura compresa fra 24 – 26 °C con rimontaggi e follature giornaliere.
Una vinificazione elaborata da cui si ottiene un rosso rubino dai riflessi brillanti, in equilibrio fra note fruttate e speziate, sentori di ciliegia e fragranze di viola a completare il bouquet aromatico.
La persistenza in bocca ha il calore dei 13,5% vol. da gestire di norma nell’arco di un pranzo o cena a base di carne.
Ho voluto mischiare un po’ le carte mettendo alla prova la versatilità di questo vino: un unico piatto popolare, la pizza, e un calice a coppa ampia che ho preferito al tulipano per meglio convogliare i sorsi sulla punta della lingua dopo generosa ossigenazione.
Esperimento riuscito, il Chianti Riserva 2018 Villa Montorsoli supera la prova fuori dalla sua comfort zone. Trattandosi però di un vino che possiede una sua dignità ma certamente non è eccelso, non tornerà sulla tavola. La prossima volta gli preferirò un Chianti classico nella sua accezione consolidata, preferibilmente un 2015, ad accompagnare un bell’arrosto di manzo.