Vi sarà capitato più di una volta di osservare a una festa o al ristorante qualcuno bere un calice di vino tenendolo dalla base con due dita, indice e pollice. Intenditore della materia enologica o fighetto? Ve lo sarete certamente chiesti e se avete visto il film Ritorno in Borgogna (Cédric Klapisch, 2017), allora intuirete che la risposta sta proprio nel mezzo. Considerate che oltre la metà di coloro che si professano novelli sommelier non sa nemmeno cosa significhi terroir, il che è piuttosto grave.
Facciamo chiarezza. Nel wine tasting esistono delle regole ben precise da rispettare ed esse non sussistono tanto per una questione di bon ton (ch’è pure importante, s’intenda) quanto per una corretta modalità di degustazione del nettare di Bacco.
Il calice da vino e le sue parti
A questo proposito occorre innanzitutto conoscere le parti di un bicchiere da vino detto calice, che sono quattro: il piede o base, lo stelo, il bevante e il bordo che compongono la coppa. Tenuto conto che ogni tipologia di vino esige un differente bicchiere la cui forma, materiale e design rappresentano aspetti decisivi nell’assaggio, gli elementi costituenti la sua struttura sono sempre gli stessi dal Quattrocento, secolo in cui i mastri vetrai veneziani hanno concepito e iniziato a produrre il calice che oggi tutti conosciamo.
Fu però il vetraio austriaco e ingegnere chimico Claus Josef Riedel a operare concretamente la differenziazione dei bicchieri nel XX secolo, avendo intuito la correlazione tra la forma del contenitore e il gusto del contenuto.
La funzione della base non può essere più prosaica, servendo semplicemente a stabilizzare il calice su una superficie piatta. Lo stelo collega il piede alla coppa ed è la parte su cui bisogna posare i polpastelli delle dita per tenere verticalmente il calice evitando alla mano di venire a contatto con la coppa e di trasferire quindi calore alla bevanda compromettendone il taste.
Bevante e bordo assumono invece una rilevanza assoluta, dal momento che la forma del primo determina la direzione del vino in molteplici aree della bocca influendo persino sulla velocità del flusso. È essenziale poter cogliere ogni caratteristica organolettica di ciò che si beve: l’ampiezza del bevante convoglia gli aromi e orienta l’olfatto.
L’ossigenazione è prerogativa della coppa: più è ampia, più il vino si ossigena ammorbidendo i propri sapori e acuendo la percezione di sapidità e tannicità sulla lingua. Una proporzione gustativa ricontrabile osservando Paul Giamatti carpire i segreti del vino in Sideways (Alexander Payne, 2004).
Rossi, bianchi, spumanti e champagne: un calice per ogni vino
I vini rossi giovani vogliono una respirazione veloce agitandosi su un classico calice, mentre le annate meno recenti esigono un ballon dalla coppa estremamente larga per dare possibilità agli aromi di propagarsi lentamente a beneficio dell’olfatto e della morbidezza da invecchiamento.
Con i bianchi si verte su calici a tulipano di medie o piccole dimensioni a seconda dell’età del vino. Per la degustazione degli spumanti si consiglia l’uso del flûte a gambo lungo nel caso dei secchi a perlage abbondante e champagne di livello superiore come il Bollinger Grand Année 1990 sorseggiato dal James Bond di Daniel Craig in Casinò Royale; la coppa va ancora per la maggiore quando si ha a che fare con dolci aromatici.
Come si tiene il calice?
Il discorso sui bicchieri risulta molto più complesso e noi dobbiamo tornare rapidamente alla questione che ci siamo posti al principio: come si tiene un calice? Non certo come Russell Crowe in Un’ottima annata (Ridley Scott, 2006). Il suo personaggio, Max Skinner, si trova molto più a suo agio nella professione di broker cinico e spietato rispetto alle vesti di proprietario di una tenuta con vigneto in Provenza.
Il modo ottimale di tenere un calice è alzarlo con una mano dallo stelo, mentre con l’altra si prende la base con pollice, indice e medio per poi portare il calice alla bocca e gestirlo con un’unica mano.