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Il pollo fritto della Kentucky Fried Chicken

Croccante, dorato, gustoso… in una parola: sfizioso!

Il pollo fritto è una leccornia che batte bandiera a stelle e strisce, un finger food sottinteso nell’enorme paniere dello street food rapido e godurioso. Si tratta di un piatto entrato prepotentemente nella cultura di massa, capace di mettere d’accordo portoricani, messicani e afroamericani, repubblicani e democratici, insomma le mille anime degli Stati (dis)Uniti d’America.

Nei menù delle tavole calde del Nuovo Continente non manca mai, eppure il vero, certificato, storico pollo fritto è il prodotto di punta della KFC – Kentucky Fried Chicken.

Il pollo fritto in Green Book

Lo sa bene il ghiottone Tony Vallelonga, l’autista che scarrozza in lungo e in largo il raffinato musicista nero Don Shirley, impegnato in una prestigiosa tournée di concerti. Votato al buon sano colesterolo e perennemente alla ricerca di cibo, Tony è un appassionato ammiratore (e consumatore) di petti, alette, cosce e sovraccosce, meglio ancora se del Kentucky.

Razzismo, segregazione, odio e inasprimento dell’astio sociale indirizzato ai colored: la cibanza finisce col mettere sempre tutti d’accordo. Si depone l’ascia di guerra finché le mendibole lavorano e le onomatopeiche culinarie echeggiano.

Una favola? Sì lo è, lo era e lo sarà, ma ci piace pensare che “mangiare” sia un valido sinonimo di “stare allegri” anche se per poco. E infatti Tony Lip, che stia al volante o seduto in qualche tempio dell’epicureo piacere, non perde occasione di sfoderare il sorriso di chi si assicura ogni ora la pancia piena.

Il pollo fritto può considerarsi, sebbene in modalità ridotta, un co-protagonista del Green Book vincitore di 3 premi Oscar a miglior film, attore non protagonista Mahershala Ali e sceneggiatura originale. C’è di più: il signor PF rappresenta il primo passo di un’amicizia interraziale, da cui scaturisce una fragorosa “risata che NON vi seppellirà”. Dimenticate Bachunin, perché stavolta in questo virgolettato non c’è nulla di anarchico. Esiste solamente la libertà incontrovertibile di poter toccare e gustare con mano (nel vero senso della parola) una perla del “cibo veloce”.

Preparazione

Non fatevi trarre in inganno. Non basta impanare e friggere per ottenere un pollo fritto di prima qualità. Il procedimento di preparazione è un pizzico più complicato, niente comunque che non si possa realizzare nella propria cucina di casa.

I vari pezzi di pollo (petto, ali, cosce e sovraccosce) devono essere allestiti per la frittura. Dopo una preliminare marinatura nel latticello, si dà il via all’infarinatura. È cosa buona e giusta mischiare la farina con spezie in polvere come sale, pepe, paprica, aglio e cipolla. Successivamente si assolve il passaggio della panatura, così da creare un rivestimento che mutì in crosta saporita. E adesso la domanda catartica: dove si frigge il pollo?

Esistono tre modi:

  • frittura in padella
  • immersione in olio con utilizzo di friggitrice per mantenere costante la temperatura dell’olio
  • frittura a pressione che, sempre in friggitrice (ma a pressione), è possibile sfruttando i vapori dell’olio per avere tenerezza all’interno e croccantezza all’esterno.

In alcune ricette il pollo viene fritto nello strutto, ma è preferibile ricorrere all’olio di mais, di arachidi o di colza. Ideale anche l’olio di oliva. Consigliata una temperatura di cottura di ca. 180°C. Cuocere fra i 6e i 15 minuti a seconda dei pezzi scelti.

La Kentucky Fried Chicken, fra le più famose catene statunitensi di fast food – fondata a North Corbin nel 1952 da Harland Sanders (un franchise da 750.000 dipendenti in grado di fatturare qualcosa come 23 miliardi di dollari l’anno) – non ha mai rivelato l’esatta ricetta del pollo fritto, salvo dichiarare l’impiego di 11 erbe e spezie.

Breve storia del pollo fritto

Partiamo dall’assunto che la ricetta del pollo fritto, seppur considerata un esclusivo must del fast food d’oltreoceano, non è nata in America. Gli Stati Uniti, infatti, si sono piuttosto appropriati di un piatto proveniente dall’insospettabile Scozia, con influenze e varianti addirittura italiane.

Presso le colonie di schiavi afroamericani, questa pietanza si diffuse più come per necessità che per sfizio. Un popolo proverbialmente povero aveva la possibilità di conservare il pollame e, con l’aggiunta di erbe e qualche spezia, preparare qualcosa di veloce ma buono e proteico, funzionale a dare energia per il lavoro.

Uno scatto di affermazione del pollo fritto si ebbe nel periodo più improbabile, cioè quello della terribile crisi economica statunitense. Proprio durante la Grande Depressione degli anni ’30 ognuno cercava di guadagnare quel che poteva riciclandosi nei lavori più disparati, rimboccandosi le maniche e sudando sangue pur di sostenere la famiglia.

L’allora 25enne Harland Sanders apparteneva a quella generazione impegnata a risalire faticosamente la china. Diviso tra la pratica di plurimi mestieri e gli studi in legge, Sanders riuscì ad aggiudicarsi la gestione di una stazione di benzina Shell in Kentucky, laddove sorse come integrazione un piccolo ristorante, il primo storico inizio della catena Kentucky Fried Chicken e il miracolo di un autentico self-made man.

Qualche dato della Kentucky Fried Chicken

Oggi la KFC è uno dei franchise dedicati al fast food più grande del mondo, espanso in oltre 115 paesi con la bellezza di ca. 18.000 ristoranti (di cui 30 in Italia che fatturano ciascuno una media di quasi 2 milioni di euro l’anno). Dal 2015 sotto la guida del CEO Roger Eaton, è di proprietà della Yum! Brands.

Se vi venisse mai lo schiribizzo di aprire un KFC, sappiate che esistono dei requisiti precisi da rispettare. Il locale, che deve prevedere un minimo di 450 mq di superficie, abbisogna di una localizzazione in centri commerciali, centro città (non meno di 40.000 abitanti) o, ogni modo, dove è presente un’alta affluenza di persone.

L’investimento iniziale non è proprio da ridere: parliamo di una cifra intorno al milione di euro.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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