I napoletani sono forti di una millenaria tradizione in cucina ma, più in generale, è difficile trovare un campano che non si destreggi ai fornelli applicando la proverbiale “arte di arrangiarsi”. Non può dunque essere da meno Carmine Lagioia, il detenuto camorrista interpretato da Silvio Orlando e messo in scena da Leonardo Di Costanzo nel suo Ariaferma.
È lui che prima aizza lo sciopero della fame nel carcere dismesso per un “vitto che fa schifo” (risultato di un catering approssimativo e scadente) e poi suggerisce al capo delle guardie Gaetano Gargiulo un accomodamento a vantaggio reciproco, ovvero la possibilità di usufruire della cucina del penitenziario nella quale preparare per tutti pietanze fresche.
In una situazione completamente inusuale e complicata, un buon piatto di pasta, un po’ di carne e della verdura sanno intiepidire ogni forma di astio e rancore in seno a due momenti sacri per gli italiani, il pranzo e la cena. Lagioia, autoelettosi cuoco ufficiale, constata in dispensa un’abbondanza di cipolle tale da dover scegliere un primo della sua terra, una prelibatezza anche piuttosto facile da preparare: la Genovese.
Un piatto quasi povero dalla lunga cottura
A dispetto del nome, non ha proprio nulla a che vedere con il capoluogo ligure. Quasi ma non del tutto un piatto povero per la presenza della carne di manzo (a seconda delle varianti, può essere servita insieme alla pasta oppure a parte come secondo), si basa su un ragù bianco esaltato dal gusto delle cipolle che, in virtù della lunga cottura, appassiscono fino a diventare una sfiziosa purea.
Ora, provate a immaginare cosa significhi imbastire un pasto per una quindicina di persone e perlopiù di buona forchetta. Lo chef si ritrova a dover sbucciare e tagliare al coltello ca. 5 kg di cipolle dorate, ma quest’impresa sembra non scalfirlo minimamente. Gargiulo, a scanso di equivoci e per velocizzare il procedimento, gli procura un giovane (e improvvisato) aiuto cuoco, Fantaccini, che si mette a fischiare per evitare la lacrimazione degli occhi.
Ingredienti e preparazione della Genovese
In realtà il film non ci dà modo di assistere all’intera preparazione, ma da ricetta riusciamo a risalire all’amalgama, ricalcolando la quantità di ingredienti necessaria per 15 persone, ovverosia:
- cipolle dorate 5 kg
- manzo (girello, lacerto o magatello) 3 kg
- ziti 2 kg ca. (più di 100 g a commensale)
- carote 300 g
- sedano 300 g
- prezzemolo 5 ciuffi
- vino bianco 500 ml
- alloro 5 foglie
- olio EVO q.b.
- pepe nero q.b.
- sale fino q.b.
- Parmigiano Reggiano DOP q.b.
Cipolle, carote e sedano vanno da prassi tritati e adagiati in pentola per dare il via a una rapida soffrittura prima dell’aggiunta del manzo a pezzi (epurato dalle parti grasse) e di un mazzo legato di prezzemolo e alloro, fondamentale per infondere profumo e aroma. La cottura a pentola coperta procederà per almeno 3 ore, senza ausilio di brodo o acqua, già rilasciata dalle cipolle.
Allo scadere del tempo si interviene con il vino bianco chiamato a equilibrare la dolcezza con l’acidità. In questa fase, la carne deve cuocere per un’ora supplementare, scoperta e bagnata col passare dei minuti. Alla fine del procedimento, un pezzo del manzo viene sminuzzato e aggiunto al condimento degli ziti, mentre il resto andrà a costituire un sollazzante secondo.
Perché la Genovese si chiama così?
La Genovese è un sugo che si porta dietro un coacervo di storie curiose, partorite da differenti scuole di pensiero. La domanda sorge lecita e spontanea: come mai un piatto tradizionale partenopeo rimanda nel nome all’ex Repubblica marinara ligure?
Un napoletano doc, Luciano De Crescenzo, si espresse al tempo risalendo alle origini della speciale squisitezza, adducendo a due distinte versioni. La prima vorrebbe che la Genovese indicasse l’origine geografica dei cuochi impiegati nelle locande di Napoli in epoca aragonese, tutti provenienti da Genova e avvezzi a prepararla sovente.
La seconda racconta di un famoso cuoco napoletano soprannominato “o’ Genovese” oppure di stanza in una taverna allocata nel vicolo dei Genovesi, pullulante di locande gestite appunto da ex marinai di Genova. Allora, però, in cucina arrivavano gli avanzi di carne di maiale e non il manzo.
La primissima citazione della Genovese – nella ricetta n°66 De Tria Ianuensis – risale addirittura al 1285, anno in cui fu pubblicato il Liber de coquina, libro di cucina napoletana scritto in latino volgare. Si tratta della più antica e rudimentale versione del piatto che conosciamo oggi.