Titolo originale: Archive
Regia e sceneggiatura: Gavin Rothery
Cast: Theo James, Stacy Martin, Rhona Mitra, Toby Jones
Musiche: Steven Price
Produzione: Regno Unito, Ungheria, USA 2020
Genere: Fantascienza
Durata: 109 minuti
Regia:
Interpretazione:
Sceneggiatura:
Musica:
Giudizio:
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Trama
Impegnato da quasi tre anni in un innovativo progetto di ricerca, George Almore (Theo James) ha creato due prototipi di intelligenza artificiale propedeutici a J3, essere sintetico del tutto simile a un individuo umano. L’obiettivo di George è dare un modello di comportamento a J3, ma soprattutto immagazzinarvi la memoria della defunta moglie Jules (Stacy Martin) per “riportarla in vita” e scacciare finalmente l’immenso dolore del lutto sofferto.
Recensione
Archive è l’esordio alla regia di Gavin Rothery, la fantascienza con la F maiuscola, la sci-fi che fa la voce grossa dando una forte sensazione di pelle d’oca. Si tratta di un film emotivo, scritto e diretto senza timori reverenziali e paure di sorta pur inserito in un filone prolifico come quello della robotica e dell’intelligenza artificiale.
Sfortunata nella complicata fase del (mancato) lancio promozionale, avvenuto in piena pandemia da Covid-19, l’opera prima di Rothery non sfugge ai paragoni, vincendo il confronto con la pellicola cui più si ispira, Ex machina (Alex Garland, 2015), con cui condivide la volontà di conferire al robot una coscienza, o meglio un vissuto, un’illusione di esistenza passata.
Nel caso di Archive si parla di innesto mnemonico, di una resurrezione che deve avvenire in un laboratorio-sepolcro nel bel mezzo di una terra eremitica come il Giappone.
Il ritorno a una vita resa tale dalla percezione di suoni, sapori e consistenze origina l’ultima frontiera dell’A.I incarnata da un androide che supera il concetto fisico di mortalità, esattamente al pari di un archivio digitale capace di rivalutare materiale analogico semplicemente transmigrandolo da un supporto a un altro, da uno stato a un altro, da un livello base a un livello supremo sebbene non necessariamente perfetto.
Un percorso che George compie per gradi creando una famiglia di ibridi tecnologici dalle differenti progressioni intellettuali ma di speciale sensibilità affettiva. Ecco accendersi la rossa lampadina della gelosia, il senso di smarrimento, il timore di restare un’entità incompleta, abbandonata a se stessa.
Philip Dick scriveva al tempo “Gli androidi sognano pecore elettriche?” riferendosi all’enorme, incolmabile divario fra essere umano ed essere artificiale asservito alle regole dei programmi calcolo privati di libero arbitrio e valutazioni di cuore o pensiero.
Theo James (Divergent, Giochi di potere, La fine) offre un’intensa prova di recitazione insieme a Stacy Martin, che dopo il debutto nel controverso Nymphomaniac di Lars von Trier, Taj Mahal e Il mio Godard conferma la sua capacità di calarsi nel personaggio come pochi altri.
Alzano notevolmente l’asticella le musiche catartiche di Steven Price, il resto è poetica finalmente svincolata dal riduttivo contesto apocalittico e rappresentata, invece, in un futurismo reale e tangibile.
Curiosità
Il film è uscito nelle sale cinematografiche americane in una breve parentesi estiva, mentre in Europa la distribuzione è avvenuta direttamente sui canali digitali.