Titolo originale: Il coltello di ghiaccio
Regia: Umberto Lenzi
Sceneggiatura: Umberto Lenzi, Antonio Troiso
Cast: Carroll Baker, Alan Scott, Evelyn Stewart, Eduardo Fajardo
Musiche: Marcello Giombini
Produzione: Italia, Spagna 1972
Genere: Thriller
Durata: 91 minuti
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Giudizio:
Trama
La cantante Jenny Ascot (Evelyn Stewart) fa visita in Spagna alla cugina Martha (Carroll Baker), rimasta muta dopo lo shock provocato dalla morte dei genitori in seguito a un incidente ferroviario nel quale ella stessa fu coinvolta salvandosi miracolosamente. Una notte, però, Jenny viene uccisa nel garage della villa da un individuo introdottosi di nascosto.
La polizia si mobilita per dare la caccia al principale sospettato, Randy Mason (Massimo Turci), adepto di una setta dedita a culti esoterici. Dopo l’assassinio della governante, il giovane viene arrestato ma gli omicidi non si fermano e anche la piccola Christine cade vittima del maniaco.
Recensione
“La paura è un coltello di ghiaccio che lacera i sensi fino al fondo della coscienza”
Con questa massima attribuita a Edgar Allan Poe si alza il sipario sul thriller manieristico che Umberto Lenzi dirige nel periodo di transizione dal genere avventuroso al giallo.
Se da un lato assistiamo all’ascesa di un giovane e promettente Dario Argento, dall’altro si manifesta la volontà di un regista già esperto di cambiare registro per rivolgersi a una platea differente, ora interessata a esplorare le cupe striature dell’omicidio seriale. Ne scaturisce un film che gioca insistentemente sul falso indizio, creando ipotesi d’indagine per poi sfaldarle e ricomporle tra un delitto e il successivo.
Primi e primissimi piani rappresentano i tecnicismi maggiori di un’opera a tratti vicina all’horror gotico, condita di quel pathos funzionale alle pellicole di Roger Corman. Qui, tuttavia, finisce l’accostamento e persin la lode, laddove iniziano i problemi.
A una scrittura piuttosto lacunosa segue un montaggio non sempre allineato ai tempi narrativi. Se poi Lenzi fa bene a indugiare spesso e volentieri sul volto etereo e innocente di Carroll Baker, non si può dire altrettanto quando sceglie la carta Marcos, l’autista di casa Caldwell che entra ed esce dall’inquadratura seminando dubbi e sospetti, ma al contempo cadendo un po’ nel ridicolo come fosse uno zio Fester serioso e capelluto.
Purtroppo è un “serial thriller” pavido, eccessivamente tagliato, privo di materia prima, il sangue che fa un cameo solamente nella sequenza dell’uccisione del toro nell’arena. Lenzi, poi, cita il collega Lucio Fulci con l’approssimarsi dell’epilogo, e il coevo Non si sevizia un paperino. Gli aspetti più inquietanti dell’intero lungometraggio: gli occhi dalle iridi maculate di Randy Mason e il grido di Martha nella cripta.
Curiosità
Per il doppiaggio furono chiamati alcuni dei migliori professionisti dell’epoca, come Nando Gazzolo, Maria Pia di Meo, Pino Colizzi e Ferruccio Amendola, che presta la propria voce a un fattorino.