luci d'inverno
- Drammatico, Recensioni

Luci d’inverno

luci d'inverno locandinaTitolo originale: Nattvardsgästerna

Regia e sceneggiatura: Ingmar Bergman

Cast: Gunnar Björnstrand, Ingrid Thulin, Max von Sydow

Musiche: Evald Andersson

Produzione: Svezia 1963

Genere: Drammatico

Durata: 81 minuti

Trailer

luci d'inverno  tomas e jonas  marta e tomas in luci d'inverno

Regia: stellastellastellastellastella

Interpretazione: stellastellastellastellastella

Sceneggiatura: stellastellastellastellastella

Musica: stellastellastella

Giudizio: stellastellastellastellastella

 

Trama

Suonano le campane nel piccolo paese innevato di Mittsunda. Il pastore protestante Tomas Ericsson (Gunnar Björnstrand) celebra messa alla presenza di soli cinque fedeli. Fra loro compaiono Marta Lundberg (Ingrid Thulin), insegnante innamorata di lui, e Jonas Persson (Max von Sydow), padre di famiglia sull’orlo del baratro a causa di una forte mania depressiva.

Quest’ultimo, dopo aver appreso in udienza privata una pesante afflizione che attanaglia lo spirito inquieto di Tomas, si reca nel bosco uccidendosi con un colpo di fucile alla testa. Il pastore, scosso dall’episodio e già in forte crisi esistenziale per la perdita della moglie quattro anni prima, sprofonda nell’abisso rifiutando ogni aiuto o conforto da parte di Marta, alla quale indirizza un disprezzo dettato da una rabbia recondita.

Recensione

Il secondo capitolo della “Trilogia del Silenzio di Dio”, preceduto da Come in uno specchio e seguito da Il silenzio, è certamente il più minimalista fra i tre sia in termini di narrazione che di composizione scenica. Ingmar Bergman prosegue il viaggio nelle maglie della sofferenza interiore che conduce l’uomo alla domanda, dalla domanda al dubbio, dal dubbio alla crisi di fede.

A Gunnar Björnstrand e Max von Sydow, già presenti in Come in uno specchio, si aggiunge Ingrid Thulin nel ruolo di Marta. Bergman non snatura il proprio identificativo manierismo, insistendo sul montaggio lento, la fissità dei piani, gli sguardi in macchina che coinvolgono lo spettatore nell’ascolto pieno delle singole confessioni. C’è tanto spazio nelle inquadrature, un vuoto intorno ai personaggi difficile da colmare.

L’immancabile Sven Nykvist risulta come sempre determinante nel regalare una fotografia capace di esaltare le situazioni facendole “parlare” anche quando il verbo non è proferito. L’apparato dialogico qui pesa come un macigno, poiché nella sua immensa semplicità sa toccare impensabili apici di idiosincrasia latente. Alla base permane la sofferenza del singolo estrapolato dalla collettività sociale.

Se poi il sofferente ha i tratti di un pastore protestante – ch’è per Bergman innanzitutto un uomo franco e disilluso – allora il dramma si acuisce sfociando in una tragedia in progressiva lacerazione.

Autocommiserazione, rifiuto di risurrezione intellettuale, attrazione per la deriva in solitaria. Tutti questi atroci aspetti lambiscono un perenne desiderio di fuga dalla vita, concretizzato dal proletario Jonas, reso da Sydow una statua di cera animata al fine di enfatizzare l’annichilimento della personalità. La chiesa del paese vorrebbe detenere la funzione di aggregatrice di anime, carica che purtroppo viene messa a dura prova fino all’abdicazione finale.

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Curiosità

chiesa di falun

 

Ingmar Bergman scelse per le riprese la picola cittadina svedese di Falun, dove si tenne la prima mondiale del film il cui incasso servì per finanziare il progetto di restauro della chiesa.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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