Titolo originale: The Fabelmans
Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Steven Spielberg, Tony Kushner
Cast: Gabriel LaBelle, Michelle Williams, Paul Dano, Seth Rogen
Musiche: John Williams
Produzione: USA 2022
Genere: Biografico
Durata: 151 minuti
Regia:
Interpretazione:
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Giudizio:
Trama
I Fabelmans conducono una vita felice e di quest’esistenza gode appieno il giovane Sammy (Gabriel LaBelle), grande appassionato di cinema con un sogno nel cassetto: diventare regista. A incoraggiarlo nel portare avanti le sue ispirazioni gli amorevoli genitori Burt (Paul Dano) e Mitzi (Michelle Williams), lo zio Bennie (Seth Rogen) e una delle tre sorelle, Natalie (Keleey Karsten).
Quando la famiglia – ebrea da generazioni – deve traslocare in California per l’agognata promozione di Burt, ingegnere informatico, l’armonia subisce un improvviso scossone: Mitzi cade in depressione e Sammy deve affrontare la realtà nel nuovo liceo e i bulli che ne frastagliano negativamente la quotidianità. Il ragazzo, però, ha dalla sua l’incrollabile amore per la cinepresa e con essa saprà volgere il destino a proprio favore guadagnandosi la stima della comunità… e non solo.
Recensione
Spesso ci si trova in disaccordo con le decisioni dell’Academy nell’assegnazione dei Premi Oscar, sovente trasformati da statuette meritocratiche a simboli ossequiosi, omaggianti e servilisti. The Fabelmans ha ottenuto addirittura 7 nominations per la regia di Steven Spielberg, la colonna sonora del monumentale John Williams, miglior film, sceneggiatura, scenografia e le interpretazioni di Michelle Williams e Judd Hirsch.
Ha mancato l’appuntamento con tutti questi riconoscimenti – ma 2 Golden Globe li ha messi in tasca – generando il disappunto di pubblico e critica che speravano di assistere alla glorificazione del suo valore. E quest’ultimo sussiste, è evidente ma… basta vedere il film per comprendere la legittimità del sacco vuoto. La firma maestra dell’autore de Lo Squalo, Incontri ravvicinati del Terzo Tipo e Schindler’s List non si discute, specialmente nel momento in cui va a segnare una pellicola semiautobiografica incentrata su molti reali aneddoti che hanno scandito il divenire del piccolo Steven in un titano della cinematografia mondiale.
The Fabelmans è girato con indubbio piglio nostalgico, ha il vigore dell’affetto per la celluloide, per le persone che hanno agevolato e non ostacolato il talento, per il gusto della descrizione in equilibrio tra favola esistenziale e il crudo vivere, anzi l’imparare a vivere. Però, e specifichiamo però (sembra strano), l’ultima opera di Spielberg resta ancorata all’alveo della pura, incantevole normalità. È un racconto, certo molto bello e raffinato, eppur privo di grosse virtù, non si palesa eccezionale né particolarmente originale.
Gradevole come una lunga sinfonia mai uguale a se stessa, si fregia di una scrittura tanto solida da poter reggere una traduzione visiva e dialogica di 2h e mezza. Scorre meravigliosamente, coinvolge e in alcuni frangenti commuove perché invoglia a mettersi in gioco, a inseguire sogni e ambizioni. Molto ben diretto (non poteva essere altrimenti), The Fabelmans riavvolge il nastro dell’american way of life degli anni ’50 e ’60 scovando l’energia della giovinezza protesa al futuro e alla sensazione di soddisfacimento dei desideri nonostante le insidie.
Spielberg getta il cuore oltre l’ostacolo rivelando un pezzo della sua storia intima, silenziosamente sovversiva, innocente prima, un po’ ribelle poi ma mai disconnessa dall’edificante percorso dell’uomo grande. E per la final scene il cineasta di Cincinnati rende pieno omaggio alla Settima Arte rievocando la figura del dispotico John Ford interpretato niente meno che da David Lynch.
Nello sguardo attonito di Sammy si specchiano i capolavori western che hanno fatto la storia, e dinanzi ai poster di pietre miliari come Sentieri selvaggi, Ombre rosse e Com’era verde la mia valle l’espressione a bocca aperta è quella in cui in conclusione si ritrovano tutti i cinefili, nella spontaneità più assoluta che anima The Fabelmans e la sua compiaciuta vitalità.
Curiosità
Spielberg pensava a un progetto semiautobiografico già nel 1999, la cui scrittura venne affidata alla sorella Anne, ma il regista tergiversò per anni temendo che la famiglia non avrebbe apprezzato incorrendo nell’errore di travisare molti messaggi presenti nella pellicola.
Immagini: © 01Distribution