Titolo originale: Todo sobre mi madre
Regia e sceneggiatura: Pedro Almodòvar
Cast: Cecilia Roth, Penelope Cruz, Antonia San Juan
Musiche: Alberto Iglesias
Produzione: Spagna 1999
Genere: Commedia
Durata: 100 minuti
Miglior film straniero
Miglior regia
Regia:
Interpretazione:
Sceneggiatura:
Musica:
Giudizio:
Trama
Dopo la morte del figlio Estèban, Manuela (Cecilia Roth) lascia Madrid e si reca a Barcellona in cerca dell’ex marito. Grazie agli incontri con due donne, la prostituta transessuale Agrado (Antonia San Juan) e la suora Rosa (Penelope Cruz), riuscirà a venire a patti con il passato e ad affrontare il futuro.
Recensione
La scena teatrale è madre di quella cinematografica? Oppure è il grande cinema a essere madre e padre di se stesso? Tali domande paiono essere la croce e la delizia dell’opera di Pedro Almodòvar, e Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre, 1999) – film tra i più apprezzati del regista spagnolo, nonché vincitore dell’Oscar al Miglior film straniero nel 2000 – non fa eccezione.
Come sempre, la riflessione non è costruita in maniera didascalica, ma passa attraverso storie tormentate, degne dei migliori melodrammi della Hollywood classica, che Almodòvar reinterpreta però con la melanconia mediterranea e il colorato vitalismo tipico del suo Paese.
Dopotutto, questo è il marchio di fabbrica dell’Almodrama, così come l’attenzione a quei personaggi provenienti da fasce della società disagiate e trascurate, che spesso però diventano portatori di modi di vita più autentici. Le tre protagoniste di Tutto su mia madre, a loro modo, si adattano a queste caratteristiche.
Soltanto una di loro, Manuela (Cecilia Roth) è madre nel vero senso del termine. Le altre due, però, sono materne, anche se le loro scelte di vita avrebbero potuto impedirlo. Agrado (Antonia San Juan) è infatti una prostituta transessuale, dichiarato omaggio alla Gradisca del felliniano Amarcord, che sebbene dotata di un corpo fittizio, possiede emozioni più vere di quelle di chiunque altro, come confessa nel suo monologo a teatro.
La dolce Rosa (Penelope Cruz), figlia allontanata dalla propria famiglia, è una suora. Ad associare le tre donne è un nome, o meglio una persona che si fa triplice, quasi a corrispondere a ognuna di loro: Estèban, ex marito di Manuela, amico di Agrado e amante transessuale e sieropositivo che mette incinta Rosa.
Un uomo di cui ognuna delle tre donne si è presa cura, direttamente oppure tramite i suoi due figli, entrambi chiamati nello stesso modo, o che le spinge a prendersi cura l’una dell’altra, a farsi ciascuna genitore delle altre. Proprio lui, padre dalle fattezze femminili, è al centro delle curiosità dell’omonimo figlio adolescente di Manuela.
Estebàn riversa però i suoi dubbi in un racconto, dedicato alla madre, che ruba il titolo al notissimo Eva contro Eva di Joseph Mankievicz. Lo stesso ci introduce alla vita parentale dei due all’inizio della pellicola, quando Almodòvar ritrae madre e figlio intenti a commentare le vicende di Margot Channing, l’attrice teatrale interpretata dall’iconica Bette Davis.
Manuela scoprirà gli scritti di Estebàn soltanto dopo la tragica morte del figlio, che avviene, per ironia della sorte, proprio fuori da un teatro. Riprendendo Cassavetes e il suo La sera della prima, Almodòvar fa infatti terminare la vita del giovane all’inseguimento dell’autografo della diva Huma Rojo (Marisa Paredes, altro volto riconoscibile dell’opera del regista spagnolo).
Quanto a Manuela, si trova costretta a riprodurre, in un gioco metacinematografico che piace molto ad Almodòvar, i minuti iniziali della pellicola. In essi la vediamo infatti intenta a interpretare la fine di una maternità e l’autorizzazione a donare gli organi di un figlio defunto.
Tale avvenimento conclude il primo atto del dramma, quello madrileno di Tutto su mia madre, segnando il ritorno di Manuela a Barcellona e il corrispondente ritorno dal cinema al teatro. La donna difatti decide di rintracciare l’ex marito Estèban, ma contemporaneamente trova impiego come segretaria di Huma, presente nella pièce di Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams.
Lo stesso che Huma aveva interpretato la sera della scomparsa del figlio di Manuela, nonché titolo che aveva fatto innamorare a suo tempo la donna, nel ruolo di Stella, e il marito Estèban, in quello del bruto Stanley Kowalski. Barcellona diventa quindi per Manuela luogo del passato.
Lo è quando si trova, in un bizzarro rispecchiamento con All about Eve, a reinterpretare Stella, al posto di Nina. Rivive i giorni attraverso i ricordi di Agrado e l’ingenuo innamoramento di Rosa e, grazie alle due donne, ritorna madre e figlia, in un sodalizio che le spinge a prendersi cura le une delle altre, ricomponendo le famiglie distrutte o allontanate.
Manuela elabora così il suo lutto e il suo passato preparandosi, nell’atto finale, non solo all’incontro con esso, ma anche a quello con il futuro, rappresentati con le sembianze dell’ex marito e del figlio di Rosa, ancora Estèban.
Il cinema di Almodòvar contemporaneamente riesce a riappacificare in un circolo chiuso e unitario, i rispecchiamenti centrifughi che lo conducono ora alla tradizione hollywoodiana, ora al teatro. Attraversa quindi, insieme alla sua protagonista, quel tunnel che da Barcellona lo riporta a Madrid, e lo rende pronto a diventare madre e padre della generazione artistica europea successiva.
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