
Tra i monumenti che adornano Pianezza (TO), la Pieve di San Pietro si distingue per il profondo pregio storico, le cui radici risalirebbero al X secolo, con successiva citazione nel diploma imperiale di Federico Barbarossa nel 1159.
Questa piccola realtà ecclesiastica – eretta formalmente nel XII secolo – ha conosciuto i fasti dei suoi primi secoli di attività, ricoprendo una funzione primaziale tipica della decana d’eccellenza, ma saggiando purtroppo anche l’amarezza del progressivo tramonto, inesorabile fino ai primi accenni di fatiscenza.
Da chiesa matrice, insomma, è stata declassata ad ancella marginale, perlopiù sconsacrata, utilizzata per un periodo consistente addirittura come magazzino per attrezzi agricoli. Una bellezza di tale valore, tuttavia, non può svanire in una manciata di secoli: il tempo l’ha risparmiata dal completo decadimento e degrado, concedendo una sorta di resurrezione avvenuta nel romantico ‘800, quando amanti dell’arte e studiosi di architettura ripresero fortunatamente coscienza di quel tesoro da pre e conservare.
Storia ed effetti del restauro della Pieve

La Pieve di San Pietro avrà anche perso l’aura sacra ma non il suo ambire all’immortalità: ha assistito all’assedio del Castello di Pianezza nel 1362 a opera di Giacomo d’Acaia contro i Provana ribelli, subendo essa stessa qualche danno da catapulta ma sopravvivendo a quel cruento conflitto. Una massiccia opera di restauro – sia reintregrativa che conservativa – è stata avviata nella seconda metà del XX secolo.
Nel 2002 il Comune di Pianezza – nell’ambito di un progetto di riqualificazione – ha incaricato del ripristino restaurativo degli affreschi la ditta Nicola di Amarengo sotto la supervisione del dott. Claudio Bertolotto. Al 2015 risale il completamento degli interventi di ampliamento del giardino e la creazione dell’anfiteatro destinato ad accogliere esibizioni teatrali, concertistiche e culturali.
Posizione e struttura

La struttura s’erge in un luogo ricco di reperti romani, distaccato rispetto al centro storico del paese e fortunatamente non è stato inglobato nelle estensioni urbane, mantenendo una posizione eremitica e perciò pacifica e affascinante, piuttosto isolata ma accompagnata dallo scorrere del fiume Dora le cui note musicali sono quelle dell’acqua viva, un dolce rumore bianco quieto e necessario. Nella zona correva la via Francigena.
La circonda un prato che sembra avvolgere il suo perimetro fatto di pareti diverse l’una dall’altra, come se appartenessero ciascuna a un’epoca differente: il lato mostrato all’avventore reca tracce di archetti e rilievi floreali con segni di pittura, mentre la parete absidale vuol comunicare sobrietà ma anche vivacità (espressa dai distinti materiali di costruzione).

Ancora, il lato rivolto al fiume consta di un tratto di muro che pare rispecchiare il corso d’acqua, palesando sassi fluviali ordinati a spina di pesce secondo consuetudine duecentesca.
La parte più adombrata e nascosta è, paradossalmente, quella dell’ingresso principale, diametrale all’assolata parete. La facciata è contraddistinta da giochi cromatici, alternanza di pietra grigia e mattoni. Sopra il portone d’entrata spiccano il rosone e archetti in cotto trilobati, a formare un unicum forgiato dal gotico e dal romanico lombardo.
Il “volto” della pieve è stato probabilmente costruito e plasmato nel 1160 dando avvio all’intera erezione della struttura, culminante nell’esile campanile a vela con apertura bifora. Nel mezzo, una lunga gestazione attraversando periodi storici e cicli, il gotico e il carolingio su tutti.
L’opera pittorica di Giacomo Jaquerio

Il tempo non solo è tiranno ma anche beffardo, duro, spietato e impietoso, razziatore di gioielli e mietitore di vestigia preziose. Talvolta prende, altre lascia, può essere integerrimo o magnanimo: nel caso della Pieve ha manifestato entrambi gli atteggiamenti, erodendo ma non irrimediabilmente lo splendore di quanto contenuto all’interno, in buona parte recuperato e restituito più fulgido di prima.
È stato però capace di elargire una dilazione sull’apparato absidale lambendo appena l’opera pittorica di un grande maestro, Giacomo Jaquerio. L’intera iconografia cristiana impressa sulle superfici della volta, l’arco trionfale, il paliotto dell’altare, il presbiterio hanno memoria tangibile e variopinta del suo pennello, in grado di descrivere un quadro divino con cui poter liberamente interagire in un silenzio contemplante, ritraendo la genesi della Trinità e un’orchestra apostolica racchiusa in medaglioni circolari.

Appena entrati nella Pieve è la Crocifissione del Jaquerio ad accoglierci, e poi lo sguardo viaggia da sinistra a destra, lentamente, scrutando ovunque per tornare al sofferente volto del Crocifisso, così intenso da sembrare in rilievo. Altre scene e storie di San Pietro definiscono la prospettiva, in particolare La pesca miracolosa e La consegna delle chiavi.
Hanno voce evangelisti, angeli e arcangeli, echeggianti fra i contorni della Cappella di San Biagio e i suoi decori a tappezzeria sulla volta a botte, toccando la Cappella Provana su cui risaltano San Giovanni predica agli animali e la Madonna col Bambino, oltre al Battesimo di Gesù.
Il Martirio di San Sebastiano -rivelato sulla parete destra della navata centrale – corrisponde all’unico affresco realizzato qui da Aimone Dux. Allora emerge una verità che ci fa ben sperare: la Pieve ci parla ancora, ha svelato alcuni misteri e altrettanti attendono la luce dell’attenzione e dell’interesse.
La Pieve di San Pietro si trova in via Maria Bricca, è visitabile su richiesta contattando l’associazione UNECON alla mail unecon2019@gmail.com.