Cosa si vede sulla copertina di Leave the world behind, romanzo scritto nel 2020 da Rumaan Alam e adattato per il grande schermo da Sam Esmail? Una meteora infuocata? Macchine sfasciate? Uomini e donne in fuga tra le rovine di una città in fiamme? No, niente di così teatralmente catastrofico. Ristampato, il best seller è sul mercato editoriale in molteplici versioni grafiche.
Esclusa quella in cui è rappresentato il basso trampolino di una piscina circondata da una selva indefinita, nelle altre edizioni a capitalizzare l’attenzione vi è l’immagine iconografica del cervo. Più esemplari con cerbiatti annessi compaiono sulle lettere del titolo inglese, ma nell’edizione italiana la visione dell’animale appare davvero eloquente.
Ne vediamo due percorrere una strada cittadina, andando incontro a una fila di auto i cui fari accesi non sembrano spaventarli. Uno di loro volge lo sguardo al punto di osservazione, come a voler lanciare un messaggio al lettore. La domanda si fa largo spontaneamente: perché proprio il cervo e non un’altra specie faunistica, una volpe selvatica, un lupo o un coyote?
Disagio, vulnerabilità, apocalisse moderna
Alam ha realizzato il suo libro nell’anno di esplosione improvvisa della pandemia di Covid-19, che ha causato nel mondo milioni di morti ridimensionando e di molto il delirio di onnipotenza dell’essere umano, obbligandolo a rivedere alcune posizioni, atteggiamenti e politiche sociali. Nelle pagine del manoscritto è riversato il profondo senso di disagio dell’umanità, la paura e consapevolezza della piena vulnerabilità nell’ottica di un’apocalisse moderna.
È nel rimando alla rivelazione biblica che prende forma e consistenza la scelta di eleggere il cervo simbolo iconografico della vicenda al centro de Il mondo dietro di te, che dalla cellulosa alla celluloide ha mantenuto l’elemento cardine, solo apparentemente sullo sfondo.
Da divinità a simbolo: iconografia del cervo
Nell’escatologia religiosa di stampo cristiano, il cervo costituisce qualcosa di salvifico, incarnando l’idea del Redentore che combatte e vince il demonio, le cui fattezze primordiali coincidono con quelle del serpente tentatore. Restando prudente e guardingo, il Bene ha la meglio sul Male. È un animale dal valore universale, reinterpretato fin dalle culture più antiche e longeve soprattutto sotto il profilo mitologico.
Relegato nella sfera della mera divinità da Ittiti, Celti, Sciiti, Slavi, Norreni e Indù, e poi greco-latini, Nativi americani e Huicholes messicani, il cervo assurge a simbolo puro affrancandosi dalle credenze pagane e traslando nella tradizione ebraica prima e cristiana poi.
Avendo un ruolo attivo sia nel Talmud che nelle Sacre Scritture, l’animale diventa un vero e proprio termine di confronto, una sorta di entità chiamata al giudizio, all’interazione metafisica con gli uomini, cercando di ristabilire l’ordine in un clima di corruzione e di lascivia, laddove l’autodistruzione ha preso inevitabilmente piede innescando un processo estintivo.
Nella pellicola di Sam Esmail assistiamo a timide incursioni di cervi e cerbiatti nel giardino della villa occupata dai protagonisti. Sembrano spauriti e allo stesso tempo curiosi, invece possiedono già la forza catartica necessaria alla lenta riconquista della Natura violata dal progresso, dal modernismo e dall’invasiva tecnologia. Si preparano, insomma, a deantropizzare la terra a loro impietosamente sottratta. L’apocalisse tecnologica collima con l’apocalisse biblica.
Il cervo al cinema: da Il Cacciatore a Starman
Nella storia del cinema esistono opere precedenti che hanno fatto ricorso alla figura del cervo. Il Cacciatore (The Deer Hunter) girato nel 1978 da Michael Cimino è il capofila più emblematico. Nella pellicola si analizzano il periodo antecedente e quello successivo al reclutamento dei giovani Mike Vronsky (Robert De Niro), Nick Chevatorevich (Christopher Walken) e Steven Pushkov (John Savage) per la Guerra in Vietnam, evento drammatico e disastroso per l’incolumità psico-fisica dei tre amici di Clairton.
Il radicale cambiamento di Michael in seguito al traumatico coinvolgimento nella tragedia bellica si comprende in particolar modo nella sequenza della caccia al cervo. L’uomo, da sempre appassionato di quella pratica “sportiva”, ci mostra sul finale la sopravvenuta incapacità di uccidere l’animale che si erge davanti a lui, preda facile da abbattere poiché sulla linea perfetta del fucile.
Se prima del Vietnam, l’esistenza per Mike non poteva che essere una stanca quotidianità da scuotere anche a costo di togliere il respiro a un essere vivente, nel suo dopoguerra egli si confronta finalmente con un credo recondito, cogliendo negli occhi della bestia una sacralità intoccabile. Lasciandola andare, Mike compie una scelta salvifica, permettendo nuovamente all’anima divina di lottare trionfando contro i demoni. L’uomo, finalmente, si riappropria dell’umanità perduta.
Come dimenticare, infine, la scena in cui l’alieno protagonista di Starman (John Carpenter, 1984) risuscita un cervo ucciso dai cacciatori?
A nutrire pietà e compassione per l’animale non è un uomo ma un extraterrestre, la cui percezione di purezza rivela un chiaro discernimento del Bene e del Male, assolutamente e tristemente incompatibile con la nostra civiltà “altamente moderna”, così incline al piacere dell’effimero al punto da non accorgersi dell’oramai conclamata refrattarietà del pianeta alla sua ingombrante presenza.
