A Torino fino al 16 novembre sono di scena le Nitto ATP Finals di Tennis. Quale occasione migliore per portare in anteprima speciale sotto la Mole Il Maestro, nuovo film di Andrea Di Stefano con il solito eccezionale e polimorfico Pierfrancesco Favino, in uscita il 13 del mese distribuito da Vision Distribution.
UCI Cinemas Lingotto, sabato 8 novembre. Regista e attore sono in sala 9 per una Q&A stampa. La proiezione press è appena terminata e anticipa di qualche ora quella organizzata per il pubblico alle 20. L’incontro che segue è un confronto sui tanti contenuti e i significati della pellicola: Il Maestro offre veramente tanti spunti di discussione.
Il Maestro: Q&A
Il cinema italiano continua a navigare a vele spiegate tenendo la stabile rotta della qualità in un mare dove risulta spesso facile perdersi. L’opera di Di Stefano è stata concepita per rivolgersi a un ampio pubblico e dare un messaggio forte e concreto, come puntualizza lo stesso regista:
“Il Maestro nasce da una sceneggiatura già pronta nel 2006, cioè quando ancora il tennis non aveva messo nuove ali sull’onda del clamore attuale e del ritorno di fiamma. È uno sport che io ho praticato, che continua a piacermi e in qualche modo ne sono appassionato. L’idea è stata una conseguenza ma metterla in pratica ha richiesto tempo e soprattutto l’occasione giusta, perché doveva trasmettere qualcosa di importante.”
Pierfrancesco Favino parla del suo particolare e sofferto personaggio:
“Raul Gatti appartiene a una generazione di tennisti pionieristica e scanzonata che praticava il tennis con meno tecnica ma vivendolo con genio e sregolatezza. È un uomo dalla doppia anima, ex sportivo che lotta con la propria esistenza, i tanti demoni e le intrinseche debolezze. Interpretarlo è stato davvero stimolante.”
Gli interventi si alternano. Andrea Di Stefano:
“Il film parte da un sogno, un desiderio e si fa viaggio. Fin da subito si comprende come la storia si definisca quale metafora della vita atta a mostrare luci e ombre, un’amicizia in divenire su cui incombe costantemente la depressione ma anche l’enorme peso delle aspettative, illusioni e delusioni. Non parla quindi solo di tennis ma in qualche maniera prova a immaginare quale pressione provano costantemente i ‘campioni‘, portati al limite, votati alla severa disciplina, obbligati a ‘restare sui binari‘ delle regole ferree.”
Favino si collega inevitabilmente al tennis attuale, illustrando la sua personale idea di giocatore sui generis:
“Sinner e Alcaraz sono atleti fenomenali, quasi inumani, delle macchine perfette che difficilmente sbagliano un dritto o un rovescio. Io amavo i tennisti imprevedibili dentro e fuori dal campo di gioco, il John McEnroe che si arrabbiava spaccando le racchette e urlando, Agassi e Pete Sampras con le sue incredibili volée e gli ace. Poi sono arrivati Roger Federer e Rafael Nadal, che hanno dettato un’inevitabile evoluzione del tennis moderno.”
Aggiunge che:
“Nel film si vede il giovane allievo giocare costantemente in difesa, ligio agli schemi precostituiti, educato a ‘fare così’ come scritto. Raul Gatti, il maestro, lo vorrebbe invece in attacco, sotto rete, a mostrare forza e sicurezza perché in fondo sa che il mondo pretende questo. E oggi, più che negli anni ’80, la società ci vuole forti, determinati, ad aggredire il campo invece che subire l’iniziativa dell’avversario. Però non funziona, perché le debolezze in noi sono assolutamente normali e legittime.”
Di Stefano completa il concetto:
“In realtà riconoscere e accettare le nostre fragilità può aiutarci a vivere meglio, mentre nasconderle origina frustrazione, disagio, negazione della naturale umanità che ci caratterizza tutti, nessuno escluso.”
Le nostre domande a Pierfrancesco Favino
Rivolgiamo due domande a Pierfrancesco Favino.
Abbiamo visto recitare Tiziano Menichelli, talento giovanissimo, espressivo e già molto preparato. Ora, quanto fa bene al cinema italiano far convivere sul set la ‘vecchia’ generazione di attori e la nuova, composta da ragazzi così bravi davanti alla macchina da presa?
“Sicuramente fa bene, molto bene, è un’esperienza che fa crescere soprattutto noi attori più maturi. Però tengo a sottolineare che questa crescita è qualcosa che provo e condivido in ogni film che interpreto anche insieme ai colleghi della mia generazione. Nella mia professione c’è sempre da imparare, non si arriva mai. Insomma, si cresce set dopo set, tutti insieme.”
Nei film americani il confronto fra generazioni è sovente viziato dal dover fare spettacolo a tutti i costi, perché Hollywood è un’industria a tutti gli effetti, che costruisce, imposta e finalizza puntando alla grandezza. Nel cinema italiano si nota invece una maggior spontaneità nella recitazione, specialmente quando attori di età molto diverse sono chiamati a confrontarsi e misurarsi. Sei d’accordo?
“Questo è assolutamente vero, il nostro cinema ha autenticità e spontaneità, ma è nel carattere delle storie che è avvezzo a raccontare facendo spesso ricorso alla commedia agrodolce, il genere che preferiamo.”
Il Maestro è un’opera completa, sincera, genuina, un dramma profondo che, tuttavia, sa anche ironizzare, divertire e far riflettere ricordandoci quanto pellicole così siano meritevoli di attenzione poiché necessarie.
