“…l’ultima sera, con il baule già pieno e la macchina venduta al droghiere, andai a guardare per un’ultima volta quell’enorme, incoerente insuccesso di casa…”
Chi si nasconde dietro Jay Gatsby? Chi è il vero protagonista dell’immortale romanzo di Francis Scott Fitzgerald? La verità era che Jay Gatsby di West Egg, Long Island, nasceva dall’idea platonica che aveva di se stesso.
Era un figlio di Dio – espressione che, se significa qualcosa, significa proprio questo – e doveva darsi cura dell’opera di Suo Padre, cioè di servire una bellezza vasta, volgare e appariscente.
Così inventò proprio quel tipo di Jay Gatsby che un diciassettenne poteva facilmente inventarsi, e a quell’idea restò fedele fino all’ultimo. È una storia spettacolare e dalle svariate coloriture: la penna dell’autore – e la creatività dei registi che di volta in volta si sono misurati con questo peculiare personaggio – tratteggia bruschi passaggi di luci e ombre.
Tale storia è stata affrontata nel 1974 da Jack Clayton con Il grande Gatsby interpretato da Robert Redford, e nel 2013 da Baz Luhrmann con il remake in cui il ruolo del protagonista viene ricoperto da Leonardo DiCaprio.
Il narratore racconta Gatsby
La casa del nostro moderno Trimalcione appare sempre illuminata, gremita da una rocambolesca combinazione di fama, festa e finzione. A raccontarcelo è la voce del narratore, allo stesso tempo spettatore e personaggio.
Lui si chiama Nick: il suo incontro con Gatsby è passeggero ma nodale. Il giovane narratore si trova inaspettatamente coinvolto nella vita del protagonista, dei personaggi a lui legati e di quelli che sembrano farne da cornice.
Un dramma umano vestito di finzione
Daisy, Tom, Jordan, i ‘coniugi’ Wilson, Catherine, gli amici – ospiti di Gatsby e i suoi ‘soci in affari’. Le loro vite si incontrano e si scontrano nella maestosa abitazione di Jay.
È qui, all’interno delle mura di Gatsby, e in quell’esterno che esse racchiudono, che si consuma la vicenda. Il loro è un dramma umano, vestito con la più elegante delle finzioni.
Due sono i moventi di fondo: la ricerca di un amore appartenente al passato e l’errato tentativo di un riscatto sociale, elementi destinati a intrecciarsi indissolubilmente sino alla tragica, inaspettata, ma forse anche inevitabile conclusione.
Il passato è destinato in quanto tale a non ripetersi, i freddi calcoli sociali hanno vinto sull’amore e gli ultimi ed estenuanti tentativi di riconquistare l’amata Daisy si rivelano vani, ottenendo come unico risultato l’acuirsi del dramma.
La fine triste e solitaria di Jay Gatsby
Gatsby ha costruito in tal senso non solo la propria casa, ma la sua intera esistenza. Sul conto del grande personaggio erano tante le voci: la misteriosa aurea dietro cui dissimulava la più profonda umanità aveva dato origine a innumerevoli voci e maldicenze. Alcuni lo consideravano un assassino… e come tale Gatsby muore.
Anche la sua triste e solitaria fine fa parte della ‘commedia umana’ di cui è il principale attore. Al volante della macchina gialla non c’era il grande Gatsby ma Daisy. Sul materassino, nella piscina silenziosa con intorno una macchia di sangue non c’è Daisy. Troviamo Gatsby.
“…erano persone sventate, Tom e Daisy… distruggevano cose e creature, e poi si ritraevano nei loro soldi, o nella loro vasta sventatezza, o nell’elemento, qualunque fosse, che li teneva insieme, e lasciavano gli altri a ripulire il macello che avevano fatto…“