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La tratta degli schiavi neri e il commercio negriero

Uno dei più grandi avvenimenti della storia è indubbiamente la scoperta dell’America nel 1492. Ciò, come è noto, ha radicalmente cambiato la concezione geografica e sociale dell’uomo, inteso come individuo facente parte di una collettività operante attraverso bisogni, abitudini, singole propensioni.

L’Europa ha potuto così espandersi e conoscere culture diverse e rendere proprie nuove risorse provenienti dal lontano continente americano. Un aspetto che, però, ha tristemente caratterizzato il periodo fra il XVI e il XVIII secolo riguarda la Tratta degli schiavi neri.

La corsa di Spagna e Portogallo ai territori d’oltreoceano

L’America aveva già dopo pochi anni dall’avvento di Colombo ingolosito politici, colonialisti e conquistatori, pronti ad accumulare ricchezza e potere: mire che accompagnano dall’alba dei tempi l’evoluzione dell’uomo, essere incapace di convivere senza brama e ossessione di prevaricazione sui suoi simili.

Nel ‘500 la corsa ai territori d’oltreoceano ha riguardato maggiormente Spagna e Portogallo, forti di monarchie prestigiose e longeve. La conquista e lo sfruttamento delle terre ha coinvolto bruscamente e crudelmente soprattutto la popolazione africana, in quel periodo organizzata in tribù sparse.

Dinamiche di una tratta vergognosa

Gli europei intrapresero, appunto, la cosiddetta “Tratta degli schiavi neri”, una pratica indegna dell’essere umano e assolutamente vergognosa. Spagnoli e Portoghesi partivano con le navi alla volta dell’Africa, attraversando il Mediterraneo.

Giunti nel continente nero, si accordavano con i capotribù per ottenere un certo numero di schiavi da impiegare nelle piantagioni americane. Per convincerli offrivano loro oggetti e paccottiglia di scarto, che però destavano l’attenzione con sufficiente riscontro. Gli schiavi venivano così incatenati l’uno all’altro e condotti nelle imbarcazioni negriere, dove venivano stipati come vera e propria merce.

L’incubo senza fine degli schiavi neri

Per la gente sottratta alla terra e alle famiglie iniziava un incubo senza fine: durante i viaggi in mare verso l’America (lunghi settimane), si verificavano spesso decessi dovuti alla disidratazione e alla diarrea, conseguenza delle razioni di cibo e acqua assai ridotte e inadeguate al sostentamento dei prigionieri.

Taluni schiavi, in preda a una comprensibile depressione dovuta all’improvviso sradicamento dalla patria, si gettavano in mare conquistandosi drammaticamente la libertà. Talvolta accadeva che le navi negriere venissero intercettate da pirati o potenze rivali: per alleggerire l’imbarcazione gli schiavi incatenati tra loro venivano destinati all’oceano, andando incontro alla terribile morte per annegamento.

I soprusi e le violenze subiti scatenavano molto di frequente rivolte e ammutinamenti sedati con il sangue. Amistad, diretto nel 1997 da Steven Spielberg, racconta una di queste ribellioni e il processo che ne derivò, denunciando lo schiavismo attraverso l’affermazione risoluta e determinata dei diritti umani.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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