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Quando dorme la nostra ragione

Un incubo ad occhi aperti, Il gabinetto del dottor Caligari. E in effetti proprio di incubo si tratta, dal momento che i personaggi vivono in una sorta di dimensione a sé stante, dove è impossibile distinguere ciò che è reale da ciò che invece è solo sogno, allucinazione o fantasia. Proprio da questa assoluta convergenza tra gli opposti è necessario partire, se vogliamo capire il significato profondo di questo film.

Primi anni ’20: la caduta dei vecchi miti e la critica della realtà

Cominciamo intanto con l’inquadrarne l’epoca. Siamo all’inizio degli anni ’20, in un periodo cioè in cui venivano messi in dubbio i fondamenti stessi della civiltà europea: i vecchi miti cadevano e non ce n’erano di nuovi a rimpiazzarli. L’intero impianto filosofico tradizionale scricchiolava e la scienza non bastava a offrire le certezze necessarie. Veniva così criticato anche il concetto stesso di realtà, considerato un postulato indimostrato e discutibile.

In questo clima culturale così acceso, era normale accantonare ogni pretesa di imitare il mondo esterno: era molto più sentita l’esigenza di improntarlo a propria immagine, modellarlo a seconda del proprio vissuto. Proprio questo era il discorso portato avanti dall’Espressionismo, la corrente letteraria e artistica che più di tutte sembrava rispecchiare lo spirito travagliato di quell’epoca.

Espressionismo e proiezione sul mondo

All’Espressionismo non interessava il mondo in quanto tale, ma la nostra proiezione su di esso. Lo stato d’animo di ogni soggetto travalicava cioè la propria sfera individuale per andare a riversarsi sulle cose, deformandole. Il mondo, in poche parole, è come noi lo vediamo. Il gabinetto del dottor Caligari è un po’ la sintesi suprema di quanto detto.

La trama de Il Gabinetto del dottor Caligari

La trama si basa su un gioco di specchi, dove la realtà viene continuamente rimbalzata da una parte all’altra, fino a finire sommersa sotto il delirio e l’angoscia di ogni singolo personaggio.

Caligari, fantomatico scienziato in grado di comandare i sonnambuli, ha ordinato al giovane Cesare – che tiene rinchiuso all’interno di una tomba in uno stato di quasi totale incoscienza – di compiere alcuni efferati omicidi. Lo scopre un altro giovane, Franz, il cui amico è stato vittima di questo dottore.

Quando tutto sembra andare per il meglio, ci accorgiamo che in realtà il giovane Franz è rinchiuso all’interno di un manicomio, e che quindi la sua storia è quasi certamente il frutto della sua follia. È proprio qui, dunque, in questa sorta di sonnambulismo della ragione, che troviamo la chiave di lettura del film.

Cesare rapisce Jane

Andiamo adesso a rivederne uno spezzone. Siamo nella stanza di Jane, la ragazza amata da Franz e dal suo amico, ucciso da Cesare poche ore prima. È notte e la ragazza sta dormendo profondamente. L’immagine di lei distesa ci ricorda da vicino la Venere di Giorgione, soprattutto per la posa del braccio. Intorno a lei, c’è una camera distorta, incongruente: le finestre hanno forme impossibili e sulle pareti ci sono tracce calligrafiche inquietanti e incomprensibili.

La sensazione è dunque quella di trovarsi nel suo sogno. Tra le ombre, ecco apparire Cesare vestito di nero, il sonnambulo assassino con in mano lo stiletto. Si avvicina silenzioso alla sua vittima, ma quando sta per trafiggerla ne rimane folgorato. Decide quindi di risparmiarla e portarla con sé. I parenti della donna, allarmati dalle urla, irrompono nella stanza: troppo tardi, ormai dei due non c’è più traccia.

Comincia a questo punto un estenuante inseguimento lungo scenari allucinanti, sopra tetti appuntiti e contorti, su di un ponte zigzagante tra due sponde di rovi affilati, il tutto al di là delle più banali regole della prospettiva. Alla fine Cesare, stanco per il lungo inseguimento, posa a terra la donna e si trascina in un punto poco più avanti, in mezzo a erba e tronchi di cartone: lì si abbandona riverso ed esala l’ultimo respiro.

Rivoluzione del concetto di “scenografia”

In questo viaggio notturno, il cinema si è spinto davvero lontano: ha rivoluzionato il concetto tradizionale di scenografia, e ha saputo proporre uno spazio dell’anima assolutamente inedito, in cui far muovere gli attori come fossero pensieri, forme, allegorie. In questa tremenda tensione espressiva, però, il cinema ha dovuto rinunciare al suo proposito più grande, quello cioè di fare luce sulla vita.

E in questa tenebra fittissima, dove niente è ciò che sembra perché tutto è anche il contrario di tutto, ci sembra quasi di sentire il passo regolare della Wehrmacht, che attraversa indisturbata le frontiere in cui dorme la nostra ragione.

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