Ogni uomo, eroe o villain che sia, ha suo malgrado un punto debole che lo rende vulnerabile. Spesso e volentieri quel punto risulta il più insospettabile e improbabile, ma far breccia significa penetrare la corazza e scoprire così il famigerato “fattore umano”. Ebbene, per il Samurai – personaggio chiave del film Suburra, diretto da Stefano Sollima – il lato frangibile e al contempo il tesoro inestimabile è rappresentato da una persona ancora in grado di domarlo con dolcezza, l’anziana madre.
Il boss della Capitale
L’ultimo componente della temutissima Banda della Magliana regge i più loschi affari della Capitale aggirandosi invisibile nell’infido liquame della vecchia Suburra, in epoca romana il substrato malfamato dove si consumavano i più sporchi intrallazzi in seno alla società imperiale.
In una Roma sede del Parlamento Italiano e del Vaticano, questo boss dal passato militante sposta gli equilibri che governano dinamiche politiche, decisioni ecclesiastiche ed espansioni edilizie. Dal bar scelto quale base delle sue pianificazioni criminali, il Samurai punta il dito su questo o quello, muovendosi laddove si renda necessario un diretto intervento.
Glaciale e integerrimo si impone su qualunque caporione dirigendo sempre l’orchestra, spostando capitali e spargendo sangue al fine di preservare gli interessi delle famiglie mafiose alle quali egli fa da garante per la riuscita di un progetto enorme.
Il Samurai e sua madre: un rapporto affettuoso ed esclusivo
Abituato a prevaricare, ricattare ed estorcere con modalità meschinamente signorili, il guerriero si prende la sua tregua facendo visita all’anziana genitrice in una sera piovosa, da diluvio universale che tuttavia non riesce a lavare i peccati di un recidivo servo del malaffare. Capitolato il governo ma non prima della favorevole approvazione della legge sulle periferie, il Samurai condivide un’inconfessabile soddisfazione con la donna che lo ha messo al mondo.
Nella sala da pranzo affiora tutto l’affetto che il boss le riconosce dimostrandosi figlio fedele, premuroso ai limiti dell’inimmaginabile: “Mamma, la torta? Non l’hai neanche assaggiata, sono arrivato fino al ghetto a prendertela!”. L’anziana madre replica con voce stanca e malinconica: “Oramai non mi piace più niente.” Pronta la risposta: “A chi lo dici!”.
Il loro è un rapporto esclusivo, basato sulla gratitudine, sentimenti sospesi in un caldo crepuscolo, ed è questo a far breccia nelle sensibili corde di una scena da nicchia teatrale: “Dai, un pezzettino.” E lei: “Tanto o poco?” Le voci si fanno più soffuse: “Piccolo.” La donna mangia il suo boccone ricevendo un bacio sulla fronte.
Scopriamo che tale dialogo beneficia di esondante spontaneità capace di far evaporare la coltre di aridità dominante il freddo operato del Samurai, inconsapevole dell’imminente incontro col fatale destino.
Chi di spada ferisce, di spada perisce
Il bacio sulla fronte corrisponde all’unico gesto d’amore concesso alla visione dello spettatore prima dell’agguato di Viola, ansiosa di vendicarsi dell’uccisione del fidanzato Aureliano. Chi di spada ferisce, di spada perisce. La ragazza blocca il potente aguzzino sulle scale, lo conduce nel cortile allagato pistola alla mano, scaricando sull’uomo tanti di quei proiettili da essere impossibile contarli.
La purificazione si consuma sotto una pioggia scosciante, in una notte di collasso e collettiva epurazione che vuole forse essere l’immagine tragica di un nuovo inizio.