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La messa in carcere

Può un semplice consenso liturgico scatenare la rivolta? Ebbene sì, è ciò che succede tra le mura del penitenziario di Segunto nel film Detenuto in attesa di giudizio (Nanni Loy, 1971).

Una voce nel silenzio della messa domenicale

La messa domenicale raccoglie come di consueto in un aula tutti i detenuti del carcere, tra i quali anche il protagonista Giuseppe Di Noi (un memorabile Alberto Sordi), che vi partecipa invece per la prima volta. Il parroco apre la celebrazione con l’augurio introduttivo “Che il Signore sia con Voi“, ricevendo in risposta un solo “E con il Tuo spirito” proprio dal nuovo arrivato.

Il repentino primissimo piano della cinepresa che cerca e trova la voce nel silenzio imperante dice tutto sulla situazione vigente, individuando l’unicum nel coro ammutolito e in attesa. Giuseppe attira su di sè tutti gli sguardi ed è ora che un carcerato vicino a lui lo informa del divieto di rispondere imposto dal regolamento.

Ritenendo tale divieto assolutamente insensato, l’uomo trasgredisce nuovamente con un “Amen” pronunciato fra l’indignazione e la rassegnazione, destando ancora clamore presso la massa presente. Una delle guardie lo minaccia di isolamento nel caso di un’altra replica, alzando poi i toni del rimprovero.

Ribellione verbale

Il fatto innesca una ribellione verbale che parte da un detenuto inquadrato dal basso – inquadratura che lo pone in posizione di inaspettato vantaggio – e prosegue con le repliche di tutti gli altri. L’atto di sfida è iniziato e gli sguardi dei prigionieri puntano i secondini evidenziando l’impotenza di questi ultimi di fronte al riscatto.

Il montaggio ci porta nell’ufficio del direttore, che si sveglia dal torpore rispondendo al telefono: una guardia lo invita caldamente a recarsi nel luogo della Messa. Lo stesso secondino si imbatte in un pacco riposto in un angolo della guardiola e, scambiandolo per un prosciutto, ordina a un collega di rimuoverlo e portarlo via. In realtà l’oggetto è la chitarra che doveva pervenire al defunto Saverio Guardascione, che l’ha attesa invano prima di morire.

Il direttore, interpretato da un giovane Lino Banfi, fa il suo ingresso rappresentando un’istituzione autoritaria e repressiva, intollerante a ogni tipo di “manifestazione” o “comizio”, considerando tale la partecipazione attiva dei detenuti alla liturgia. L’intervento non fa che accentuare la protesta. I reclusi hanno vinto la prima battaglia. Amen.

Guarda la scena

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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