Hunger (2008) è l’opera prima dell’artista visivo Steve McQueen. In quest’esordio alla regia folgorante, il minimalismo della parola e del linguaggio cinematografico si fonde e passa attraverso l’espressività degenerante (e degenerata) del corpo umano. Il lunghissimo piano sequenza di 14 minuti è il cuore pulsante dell’opera prima del cineasta inglese: dopo lunghi silenzi è l’embrione vocale del lungometraggio.
Il confronto fra Bobby Sands e padre Moran
Lo scambio di battute tra Bobby Sands e padre Moran dà forma, scolpisce e scalfisce l’anima del personaggio di Michael Fassbender, mentre la figura del religioso cerca di motivare la tormentata storia irlandese, di dare una supposta logicità alla drammatica lucidità che l’uomo davanti ai suoi occhi tenta di dimostrargli a ogni costo. C’è la ribellione in Bobby Sands, un’inesauribile voglia di riscatto per se stesso, per il proprio popolo, per la libertà di tutti. Un martire pronto a sacrificarsi per la patria.
Dinanzi a lui un uomo che, come un sordomuto, non vuole sentire le parole pronunciate, non può capacitarsi di formulare una risposta. La fame di giustizia di chi ha cercato di creare un destino diverso per il proprio paese è un suono afono per chi parla un’altra lingua, come quella divina. Sigaretta dopo sigaretta, Bobby Sands esaurisce l’argomentazione: il fumo avvolge la stanza, tesi e antitesi sgomberano il campo e depongono le armi.
Dal bambino che amava correre in campagna e difendere le regole, anche se per gioco, l’uomo adulto è determinato a portare fino in fondo i propri ideali. E così, dopo lo sciopero dello sporco e delle coperte, ricomincia anche quello della fame. Il sacerdote si separa dall’ultima sigaretta; è già consapevole di non poter rincontrare Bobby. Campo, controcampo e la sequenza giunge al termine.
Il dramma corporeo di Bobby Sands
Da lì a qualche giorno comincerà il suo calvario, la dura lotta contro il suo stesso corpo. Il fisico, sempre più magro, sempre più brutalmente stremato, resisterà 66 giorni per poi soccombere: il governo britannico, dopo alcuni mesi, accoglierà parte delle richieste degli attivisti. La camera in cui si svolge il colloquio tra Bobby Sands e il prete diventa il luogo di pre-iconizzazione dell’afflizione corporea: prima viene rappresentato attraverso forme accessorie, prolungamenti (la nudità celata dalle coperte, gli escrementi che imbrattano i muri).
E da questo preciso momento, la decisione irrevocabile dello sciopero della fame, il male passa attraverso il corpo completamente, senza trascurarne una sola porzione, arto o membro. Il dramma corporeo sarà la tematica ampliata e approfondita dell’opera seconda di McQueen, Shame (2011).
Esercizio sui tempi morti: pulizia del corridoio
Ultima precisazione linguistica. La lunga sequenza dialogica non è l’unico esempio di esercizio sui cosiddetti tempi morti: interminabile anche il piano sequenza della pulizia del corridoio su cui si affacciano le celle e su cui i reclusi svuotano le padelle, mentre la guardia avanza lentamente accompagnato dallo spazzolone. Ancora una volta, la parola non ha potere: è l’immagine stessa, vibrante, a colpire lo spettatore in pieno volto, come un pugno che non siamo in grado di evitare.
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