Esordio cinematografico del rocker italiano Luciano Ligabue, Radiofreccia è un film del 1998 prodotto da Domenico Procacci. L’opera, ispirata ad alcuni racconti presenti nel libro di Ligabue Fuori e dentro il borgo, ottiene un successo inaspettato, tanto da ricevere tre David di Donatello, due Nastri d’Argento e tre Ciak d’oro. In più, nel 2006 la pellicola viene proiettata al MoMa di New York.
È la notte del 20 giugno 1993 quando Bruno Iori, deejay di Radiofreccia, decide, all’alba del diciottesimo anniversario della radio, di chiuderla definitivamente. Parte così un lungo flashback che narra la nascita di Radio Raptus, diventata poi Radiofreccia, e di tutti i personaggi che ruotano attorno a essa.
I personaggi di Radiofreccia
Bruno ne è l’animato fondatore. Tito, il capellone del gruppo, scopre gli abusi del padre sulla sorella minore e, esasperato, tenta di ucciderlo a bastonate, scontando poi 21 mesi di galera. Iena, a dispetto del nome grintoso, è timido e introverso. Boris, il più maligno del gruppo, individualista ed egocentrico, finisce a far sesso con la moglie di Iena il giorno stesso delle nozze.
Infine Ivan Benassi, alias Freccia, orfano di padre e malato di cuore, vive con la madre (interpretata da Serena Grandi) e il suo convivente, che mal sopporta. Per questo decide di trasferirsi nei locali di Radio Raptus. La relazione con un’eroinomane prima e le delusioni d’amore poi, lo fanno cadere nella tossicodipendenza, fino a morire di overdose.
Lo sfogo appassionato di Freccia
In un film che ben esprime cosa può significare la vita in un paesino di provincia, emergono e passano alla storia le parole che Freccia consegna a un pubblico immaginario, senza volto, per dire che anche lui, nonostante tutte le avversità, i problemi e le delusioni, ha ancora qualcosa in cui credere.
Dopo aver soffiato con voce roca in un microfono il suo personale credo, i pilastri che lo fanno andare ancora avanti, lascia che le note di Rebel Rebel di David Bowie si diffondano, suggellando la fine del suo sfogo, o la fine di se stesso.
Freccia: “Buonanotte. Quì è Radio Raptus, e io sono Benassi, Ivan. Forse lì c’è qualcuno che non dorme. Beh, comunque che ci siate oppure no, io c’ho una cosa da dire. Oggi ho avuto una discussione con un mio amico. Lui è uno di quelli bravi: bravi a credere in quello in cui gli dicono di credere. Lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente. Beh, non è vero: anch’ io credo.
Credo nelle rovesciate di Bonimba e nei riff di Keith Richards. Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole l’affitto ogni primo del mese. Credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi.
Credo che un Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa. Credo che non sia tutto qua, però, prima di credere in qualcos’altro bisogna fare i conti con quello che c’è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio.
Credo che semmai avrò una famiglia, sarà dura tirare avanti con 300.000 lire al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto, difficilmente cambieranno le cose. Credo che c’ho un buco grosso dentro ma anche che il Rock ‘n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro e le stronzate con gli amici, beh, ogni tanto questo buco me lo riempiono.
Credo che la voglia di scappare da un paese con 20.000 abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx. Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri.
Credo che per credere, certi momenti, ti serve molta energia. Ecco, allora vedete un po’ di ricaricare le vostre scorte con questo”.
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