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L’arrivo del Conte Orlok

È strano come a volte certi film d’annata siano cento volte più efficaci di molti altri, diciamo, più attuali, nonostante l’evidente disparità di mezzi tecnici e l’assoluta mancanza di effetti speciali. È il caso, questo, del capostipite di tutti gli horrors, vale a dire Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau.

L’opera in questione è del 1922, quindi il discorso è quanto mai valido. Può, da sola, una pellicola muta, con pochissime didascalie, inchiodare lo spettatore alla poltrona fino alla sequenza finale, quando compare la scritta scolorita di Fine? La risposta è sì, e vedremo ora di chiarirne i motivi.

Un racconto a blocchi contrapposti

È difficile fare una cernita adeguata di tutte le scene salienti. Il racconto procede a singoli blocchi contrapposti, che ci permettono di seguire contemporaneamente le vicende della giovane Ellen, del suo sposo Hutter e del Conte Orlok, tra loro strettamente interrelate. Le sequenze narrative assumono la funzione di brevi paragrafi, ed è ammirabile la tecnica con cui Murnau riesce ad incastrarle in fase di montaggio.

L’arrivo del vampiro a Wisborg

Ma procediamo con ordine. Riassistiamo, per esempio, all’arrivo del vampiro nella tranquilla cittadina di Wisborg. Il viaggio di Nosferatu procede parallelo a quello di Hutter, di rientro da una breve degenza in ospedale a seguito della sua fuga dal castello del Conte. Il nesso non potrebbe essere più chiaro: all’immagine della nave fantasma che si incunea nelle acque del porto, si alternano infatti quelle del faticoso ritorno del giovane sposo.

Il contrasto presuppone necessariamente un’affinità: in realtà, i due sono le facce di una stessa medaglia. Tra queste sequenze di viaggio, ve ne sono altre più statiche, che mostrano l’attesa di Ellen: bellissima resta l’immagine in cui essa aspetta seduta sulla sabbia, in una spiaggia disseminata di croci ai dispersi del mare. È chiaro che i due personaggi, che si contendono la sua vita, le ruotano intorno come satelliti attorno ad un corpo celeste.

L’arrivo di Nosferatu è annunciato da alcuni inquietanti episodi: scienziati che studiano piante carnivore, polpi microscopici dagli spaventosi tentacoli; ragni che strisciano sui soffitti; Knock il sensale che, uscito di senno, viene rinchiuso in cella, dove uccide il carceriere strangolandolo. Ma c’è un altro ambasciatore del vampiro, molto più terribile e letale: la peste.

Torme di topi si gettano fuori dalla nave, uscendo dalla stessa stiva in cui si era nascosto il Conte. Il male, dunque, non è attribuibile unicamente a un soggetto, ancorché malvagio, la cui presenza sconvolge l’ordine naturale delle cose: esso è sempre esistito, e ha sempre aleggiato sulla vita tranquilla e laboriosa di quella placida comunità.

Ritmo, ansietà e sintesi tramite il linguaggio del cinema

Il pericolo è dappertutto: l’aria si fa soffocante, non esiste alcun riparo. Murnau, attraverso il ritmo concitato delle immagini e la sua forte capacità di sintesi, riesce a trasmettere un senso asfissiante di ansietà. Ciò che prima era bianco, può diventare nero; uno sposo felice può trasformarsi nel più terribile dei mostri; davanti alla propria abitazione se ne può trovare un’altra perfettamente simile nella struttura, ma cupa e decadente.

Perché, alla fine, l’esistenza di quel mostro è soltanto un pretesto. Nosferatu è la parte di noi stessi che sopravvive anche alla più sofisticata delle civiltà. Non è l’azione del mostro, ma la reazione che scatena nelle menti a fare davvero paura. Murnau riesce a comunicare tutto questo proprio attraverso il linguaggio del cinema.

Il cinema del non detto e del non visto

Per tutto il film abbiamo avuto l’impressione di vedere le immagini come di scorcio, incomplete. Nosferatu è stato spesso una macchia nera ai bordi dello schermo, a mala pena distinguibile in mezzo ad ambienti altrettanto inquietanti. Pensiamo alla scena finale, in cui il vampiro si insinua in casa della sposa, e la raggiunge in camera da letto: il mostro è soltanto un’ombra proiettata contro il muro, gigantesca e orribile.

Il cinema qui non pretende di mostrare veramente tutto, esponendosi alla minaccia del grottesco. Ciò che veramente assume significato è appunto il non detto, il non visto: ciò che sfugge, cioè, a un occhio parziale come tutti gli altri occhi, quello della cinepresa. Per questo si può sfornare anche un migliaio di remake di Nosferatu il vampiro: la sensazione sarà sempre quella di un qualcosa di troppo.

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