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Pavel, un medico in pigiama

Significativo, toccante, intelligente, storico e puro: Il bambino con il pigiama a righe, diretto nel 2008 dal sensibile regista Mark Herman, è un film sul quale occorre soffermarsi in religioso silenzio, fruendolo con il cuore ancor prima che con la ragione.

Se le pellicole precedenti hanno saputo doverosamente analizzare un periodo orrendo per l’intera umanità chiamato Shoah – o sinonimi quali Sterminio, Olocausto, Antisemitismo – questa ci offre la prospettiva di un ragazzino innocente e curioso a tal punto da scoprire e reinterpretare una tragedia epocale.

L’innocenza di Bruno

Come ogni bambino, Bruno gioca, si diverte, viaggia con la fantasia, socializza e, una volta costretto a lasciare la città per trasferirsi in campagna, sogna e concretizza nuove avventure, simili a quelle dei libri che divora con tanto gusto. Per lui le barbarie naziste non esistono, tutti sono buoni, tutti sorridono.

Entra così in contatto con persone da lui considerate “strane”, persone con il pigiama, in realtà ebrei rinchiusi nel campo di concentramento sito a pochi metri dalla tenuta nella quale Bruno e famiglia risiedono.

Un confronto verbale fra amarezza e sofferenza

Sappiamo l’amicizia tra due coetanei, uno tedesco, l’altro ebreo, essere il fondamento del film di Herman: Bruno gioca e ride con Shmuel, ma ancor prima irrompe in punta di piedi nell’esistenza del bambino un personaggio estremamente simbolico quanto reale, Pavel.

L’uomo, un deportato del lager, è a servizio presso la casa e impiegato in lavori prettamente di fatica, come caricare e scaricare casse. Bruno lo vede per la prima volta in cucina, intento a posare un fardello pesante su un piano. La seconda occasione si presenta quando a Pavel viene duramente ordinato di condurre il bambino in un capanno dietro la tenuta per rimediare un copertone di una macchina con il quale costruire un’altalena.

Pavel appare al bambino come un uomo stanco, che trascina la propria magrezza, risultato di infiniti stenti e punizioni. Il suo viso è triste ma non cupo, corrucciato ma non arrabbiato, piuttosto rassegnato.

È lui stesso a prestare soccorso a Bruno dopo una caduta, e nel caso specifico i due ingaggiano un confronto verbale delicato, quasi sottovoce, toccante nel suo far trasparire amarezza e sofferenza.

La medicazione del ginocchio sbucciato dà adito al dialogo.

Bruno:Dov’è mia madre?

Pavel:Non è in casa.

Bruno:Ma tornerà presto?

Pavel:Immagino di sì. Non si preoccupi.

Bruno:Potrei morire dissanguato.

Pavel:No, non morirà.

Bruno:Ma non devo andare in ospedale?

Pavel:No, è solo un taglio superficiale.

Bruno:Come ti chiami?

Pavel:Pavel. Adesso deve aspettare qualche minuto prima di andarsene in giro.

Bruno:Dirai a mia madre quello che è successo?

Pavel:Non servirà, penso che lo vedrà da sola!” (si siede iniziando a sbucciare patate)

Bruno:Probabilmente mi porterà da un dottore.

Pavel:No, io non credo! (Sorridendo)”

Bruno:Forse è peggio di come sembra!

Pavel:No, non lo è!

Bruno:E che ne sai… tu non sei un dottore!

Pavel:Sì, lo sono! (Alzando lentamente la testa)”

Bruno:No, non è vero, tu sbucci le patate!

Pavel:Esercitavo come medico, prima… di venire qui!

Bruno:Allora non eri molto bravo se dovevi esercitarti!

Pavel rivolge un tenero sguardo a Bruno, un sorriso misto a lacrime interiori: “E dica… lei quando sarà grande, che cosa vuole fare?” – e aggiunge – “Lo so, l’esploratore!

Bruno:Come fai a saperlo? (stupito)”

Pavel abbassa la testa.

Bruno:La fattoria com’è, bella?” (intende il campo di concentramento che lui crede essere una sorta di casolare)

La domanda non fa in tempo ad avere una risposta, la madre di Bruno entra in cucina. Ora sappiamo chi è Pavel, sappiamo come agisce e come si rapporta, ammirati per la sua gentilezza. Tempo dopo l’uomo, in seguito a un errore nel servire il vino a tavola (errore dovuto alla troppa stanchezza), viene condotto rabbiosamente dal tenente Kotler nella camera affianco e picchiato a morte.

Guarda la scena

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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