Come tanti kolossal di quel periodo o antecedenti, anche il Barabba di Richard Fleischer venne realizzato nel vero, inimitabile tempio dell’industria cinematografica, Cinecittà. Moltissimi set vennero allestiti in quei teatri di posa, specialmente gli interni e taluni luoghi della Gerusalemme antica.
Eppure il regista aveva necessità di dare enfasi e sacralizzare il momento della Crocifissione sul Golgota, scena che sarebbe stata girata invece in esterna e in tempo reale durante la totale eclissi solare del 15 febbraio 1961.
La troupe scelse quel giorno, selezionando fra i siti dei ciak un piccolo paese del grossetano, Roccastrada, più specificamente la località Le Tombarelle che rispondeva ottimamente ai requisiti richiesti per ospitare una sequenza cruciale, resa immortale dalla sopraffina fotografia di Aldo Tonti e dalla musica sperimentale di Mario Nascimbene. Per la prima volta nella storia del cinema, si ricorse a un fenomeno naturale per infondere realtà storica alla vicenda narrata nel “film che comincia dove gli altri finiscono”.
Due giovani di Roccastrada nel cast
Alle riprese parteciparono anche due ragazzi del posto, i 17enni Sergio Pizzetti (scomparso nell’ottobre del 2017 a 74 anni) e Silvano Pierucci, chiamati a interpretare rispettivamente uno dei due ladroni crocifissi e un centurione. Entrambi vennero notati al bar del paese e scelti per il loro fisico: Pierucci era molto alto, perfetto per la parte del soldato romano, l’altro magro come poteva essere all’epoca un qualunque criminale dopo una lunga prigionia.
L’intervista de La Nazione di Grosseto a Silvano Pierucci e Sergio Pizzetti
Il 15 febbraio 2011 i due furono intervistati dal giornale La Nazione di Grosseto. Riportiamo di seguito qualche loro dichiarazione.
Pierucci: “È stata l’unica volta in cui ho recitato. Ho accettato subito, senza pensarci un istante. All’epoca c’era tanta miseria e ricordo il compenso di 15 mila lire, una somma di non poco conto. Ci guadagnammo soprattutto in popolarità fra le donne di Roccastrada, vantandoci di aver recitato in un film così importante.” – e aggiunge che – “Sul set eravamo imbottiti di superalcolici per riscaldarci ma abbiamo comunque patito un gran freddo, oltre ai postumi della sbornia! C’era un clima di festa e poi, a suggellare la bella esperienza, la cortese visita di Silvana Mangano, in dolce attesa, gentilissima con tutte le comparse.”
Pizzetti: “Richard Fleischer arrivò in paese su un macchinone americano, lungo lungo. Mi notò invitandomi ad andare con lui sul set del Golgota, provando con chiodi finti e sospensorio la scena che avremmo effettivamente girato il giorno successivo, all’alba e quindi in coincidenza con l’inizio dell’eclissi. Ero quasi nudo, con una barba finta e soffrii molto il freddo nonostante i tanti bicchierini di grappa e cognac. Alla fine delle riprese ho conosciuto Silvana Mangano.“
Timido borgo in un territorio storico
La suddetta località ebbe i suoi proverbiali “15 minuti di notorietà” ma per fortuna non suscitò troppo clamore, evitandosi le orde di cineturisti e assaltatori occasionali. Tornò in men che non si dica nell’anonimato, culla di un’assoluta normalità. I suoi trascorsi cinematografici rappresentano oggi una plausibile motivazione per riscoprirla e reinscriverla con decisione nei circuiti fruibili da chi ama esplorare posti inconsueti, speciali, immani al tempo.
Roccastrada possiede il fascino del borgo timido, incastonato tra la Maremma Grossetana e le Colline Metallifere, sotto le ali protettrici sia di Siena che di Grosseto, isolato territorialmente ma non abbandonato alla sconfinatezza dell’orizzonte. Appartenuto in epoca medievale alla gloriosa famiglia Aldobrandeschi prima del passaggio nel Trecento ai Senesi, venne acquisito nel ‘500 dal Granducato di Toscana.
A raccontarne ora il passato provvedono il suo invidiabile centro storico – agglomerato di edifici narratori di un orgoglioso quanto evidente splendore – ma anche le vivide tracce delle miniere di argento e rame di cui conserva irremovibile memoria. Ne sono tuttora testimoni resti sparsi come la Ribolla Mineraria, la miniera cuprifera di Roccatederighi e la miniera lignitifera di Acquanera.
Senza mai perdere di vista il panorama mozzafiato dominato dal Monte Amiata, possiamo percorrerne le silenziose strade, consapevoli di trovarci sopraelevati da buona parte del territorio circostante, là a 475 metri s.l.m. che già concorrono a farci sentire protagonisti della meraviglia, osservatori da un balcone privilegiato e accarezzato dai venti.
Cosa vedere a Roccastrada
L’accesso alla porzione antica di Roccastrada avviene transitando per la Porta del Madonnino ubicata tra vicolo Basso e Piazzetta dell’Incrociata. Tale ingresso si contraddistingue per essere una sorta di passaggio che mantiene concreto il collegamento tra due dimensioni temporali incanalando verso il cuore pulsante, la magnifica chiesa di San Niccolò, preziosa opera architettonica di stampo duecentesco.
Si tratta di un edificio a costruzioni miste, poiché alla fondazione del XIII secolo sono seguite implementazioni come il campanile e il fonte battesimale in trachite risalenti al ‘500, con le successive realizzazioni di presbiterio e nuova torre campanaria nell’Ottocento. Al centro dell’edicola è custodito un tabernacolo in legno intagliato, poi dorato e dipinto. Vi campeggia l’immagine del Cristo risorto fra angeli, che si accompagna alla Madonna con il Bambino e all’Annunciazione affrescati da Giovanni Maria Tolosani a sinistra e a destra dell’altare.
Il talento artistico di questo pittore – per chi volesse approfondire – è riscontrabile anche all’interno della più periferica chiesa della Madonna delle Grazie, “costola” del non più esistente convento carmelitano di Sant’Arsano. Nell’aula coesistono la Madonna col Bambino e il Cristo in pietà fra i dolenti, entrambi dipinti rinascimentali.
Si sa: le vere decane del sacro ergersi sono le pievi, spesso estremamente difficili da conservare per via della loro età avanzata. Delle grandi vecchie di Roccastrada si possono nostro malgrado ammirare solamente esigue parti, e della romanica Pieve di Caminino sopravvivono poche strutture dell’impianto romanico. Parliamo di un edificio già menzionato nell’XI secolo ma presumibilmente costruito prima.
Di cappelle se ne trovano sparse parecchie, a Lattaia, a Sticciano e presso Villa Tolomei. La cripta di Giugnano rappresenta l’unica struttura superstite dell’Abbazia di San Salvatore di Giugnano addirittura antecedente il X secolo. Racchiusa nell’area di un boschetto di lecci, è molto suggestiva da visitare.
Il borgo era secoli addietro provvisto di fortificazioni e di un vecchio castello di cui nulla rimane. Sono invece ancora ritti in postura fiera il Castello di Belagaio nel bel mezzo della Riserva Naturale della Val di Farma, il Castello di Montemassi (l’emergenza più significativa a livello architettonico) e il Castello di Sassoforte, considerato dopo accurate indagini il più antico del comprensorio.
La storia, tuttavia, ha scritto pagine indelebili che sopravvivono nell’estetica fissità delle abitazioni patrizie in pietra locale, arricchite da solidi elementi decorativi quali camini, portali e finestre edicolate, il tutto eseguito in tempi non sospetti da abili scalpellini, in particolare scultori francesi tenutari della tradizione.
La Torre dell’Orologio ricorda agli avventori la fermezza urbanistica di Roccastrada, confermata dal Teatro dei Concordi (capienza 180 posti) ubicato nel Centro Nuovo del paese e araldo della cultura locale insieme alla Biblioteca di cui è assai gelosa l’intera comunità. D’altronde, come pretendere il contrario se si considera un patrimonio librario di oltre 8.000 volumi? Questo tempio bibliografico si trova dal 1974 in c.so Roma. Da visitare poi il Museo dei vecchi attrezzi a Roccatederighi e il Museo della civiltà rurale presso la Tenuta Rocca di Montemassi.
Comparto agroalimentare e vini
Siamo in Toscana, precisamente nella rinomata zona della Maremma. Ovvio aspettarsi un comparto agroalimentare attivo e vitale e in effetti… il paniere registra un pieno di prelibatezze che spaziano dai salumi e formaggi a carni molto nutrienti. Fra i piatti tipici spiccano i tortelli maremmani, l’acquacotta, le pappardelle alla lepre e il cinghiale con le olive, aggiungendovi lo sfizio delle lumache in umido.
Le colline brulicano di vigneti che producono in prevalenza uve di Sangiovese, eppure il ventaglio di vini si presenta alquanto ampio, fornendo rossi novelli ma anche di riserva, rosati, bianchi come il Vermentino e il Trebbiano. Specialissimo il Vin Santo Occhio di Pernice. Ai turisti è data l’opportunità di vivere un intenso viaggio sensoriale al Museo della Vite e del Vino o seguendo la Strada del vino Monteregio: essa concilia enogastronomia e scorci naturalistici di rara bellezza.