Un decalogo di regole da seguire, i dettami di un’anziana coppia aristocratica consegnati alla giovane Greta, pagata per accudire entro le mura di un’elegante magione inglese il figlio degli Heelshire. La degenerazione solo apparentemente folle del dolore di due coniugi morti dentro ha i connotati macabri e sottilmente carnevaleschi di Brahms, una bambola di ceramica dal colorito esangue che ricalca i tratti somatici di un bambino rimasto fossilizzato all’età di 8 anni.
Era strano Brahms, infante perennemente emarginato dal resto del mondo, strano per il suo sguardo ambiguo in bilico fra innocenza e consapevole perfidia, controverso per la sua sociale immobilità congelata dal protettorato familiare. Per Greta è tutto nuovo, compreso il trovarsi di fronte il suo piccolo cliente fittizio i cui occhi vitrei scuotono da subito le corde dell’irrequietezza richiamando un’opprimente ansia.
Le dieci regole degli Heelshire
Solitudine e inusualità della situazione sono per la fresca baby-sitter motivo di orrore crescente, manifesto nell’iniziale non-ottemperanza alle sacrosante regole fissate dagli Heelshire per tutelare il loro bambino.
- Niente ospiti
- Mai lasciarlo solo
- Conservare il cibo in freezer
- Mai coprire il suo volto
- Leggergli una favola
- Musica ad alto volume
- Pulire le trappole
- Solo Malcolm può ritirare la posta
- Nutrirlo
- Bacio della buonanotte
Il ruolo simbolico della bambola
The Boy (2016) riscrive i canoni della condotta horror eseguita trasgredendo ai truculenti criteri del genere, aderendo più propriamente all’intrigante sapidità del thriller sfumato nel soprannaturale. Fibrillazione, progressivo terrore, palpitio tensivo e ansia sempiterna sono gli elementi fondanti del film di Williant Brent Bell, che elegge come pietra miliare dell’intero apparato narrativo un’icona ludica, una bambola, per l’appunto Brahms.
Il giocattolo umanoide (inteso in senso lato) si è affermato al cinema nell’arco di parecchi anni incanalando su di esso le attenzioni della cinepresa, delle luci, della messa a fuoco e della scala dei piani, contribuendo così a espandere l’universo letterario della gothic story. Ha assunto diverse forme risultando sempre e comunque esoterica incarnazione dell’aldilà incompiuto, della volontà di aggrapparsi al mondo vivente per dire o indicare qualcosa.
Talvolta la bambola ricopre il prosaico ruolo simbolico, vedesi Saw – L’enigmista (James Wan, 2004), altre volte diventa parte attiva della manifestazione spiritica – Dolls (Stuart Gordon, 1987) e La bambola assassina (Tom Holland, 1988) – o perfino un preludio al nefasto accadimento come in Annabelle (John R. Leonetti, 2014) e Dead Silence (James Wan, 2007).
Brahms fra disperazione genitoriale e instabilità sociale
Brahms è altra cosa ancora e trascende il mero impiego strumentale a favore di una messa in scena ancor più efficiente perché altamente evocativa. La bambola, in questo specifico caso, alimenta le fauci di un pleonastico passato, rimesso in discussione dall’ausilio metafisico di fotografie che acutizzano il mistero mai risolto, celato dietro la spiccia concezione di stranezza.
Brahms non accenna a un solo movimento ma la sua presenza si fa sempre più ingombrante agli occhi di Greta e la sua fissità finisce col trasudare un risveglio sensibile e roboante. Lui osserva, disteso sul letto, seduto, immobile su una sedia, là a scrutare la sua custode in carne e ossa con sguardo impassibile eppur inspiegabilmente cangiante.
Brahms è vivo? Perché quelle regole da seguire? Chi sono gli Heelshire? Tanti interrogativi generano un dubbio, e quel dubbio sembra legarsi a una tragedia puramente umana, una non accettazione dell’intrinseca colpa fatale. E’ la visione del film a svelare ogni arcano e il potere iconografico di Brahms, sordido parto della disperazione genitoriale e dell’instabilità sociale.